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La "clonazione" dei Bronzi di Riace.

 

 

ANNALISA PANTALEO



 

 

T.A.R.Calabria sez. di Reggio Calabria, sent. 16 luglio 2003, n. 1285.Pres. Passanisi; Est. Criscenti.

 

 

La riproduzione di un’opera d’arte costituisce una forma di valorizzazione dei beni culturali. Il D. l.vo 112/98 prevede, infatti, che tra le attività di valorizzazione dei beni culturali rientrano quelle concernenti il miglioramento dell’accesso ai beni e la loro diffusione mediante riproduzioni, pubblicazioni e ogni altro mezzo di comunicazione. La “clonazione” dei Bronzi di Riace deliberata dalla Regione Calabria, da effettuarsi su scala 1:1 con l’impiego di tecnologia di rilevazione di altissimo livello, non rientra minimamente tra le riproduzioni che, come le sculture in scala ridotta, le fotografie, i disegni, valorizzano un bene culturale e incrementano la diffusione della conoscenza dell’opera mediante la stimolazione dell’interesse a vedere l’originale, al contrario essa intacca i caratteri di unicità e originalità dell’opera stessa.

Inoltre, la delibera con cui è stata stabilita la riproduzione dei Bronzi, avendo come unica finalità quella di rafforzare iniziative promopubblicitarie della Regione mediante l’invio dei “cloni” in giro per il mondo, è lesiva degli interessi economici di cui sono portatrici la città di Reggio Calabria e la sua Provincia in termini di riduzione delle presenze turistiche nel territorio. 

 

Fatto. In data 10 giugno 2002, la Giunta della Regione Calabria delibera “la riproduzione dei Bronzi di Riace”, sulla base di una Convenzione precedentemente stipulata con il Ministero per i Beni culturali e ambientali. Avverso la delibera regionale, nel marzo 2003, viene proposto ricorso al T.A.R. dal Centro studi Bosio Aics di Reggio Calabria, dall’Associazione Amici del Museo Nazionale di Reggio Calabria, dalla dott.ssa Maria Grazia Penna e dal prof. Domenico Corso, quali elettori rispettivamente del Comune e della Provincia di Reggio Calabria sulla base dell’art. 9 D. l.vo 18 agosto 2000, n. 267, dalla città di Reggio Calabria e dalla sua Provincia. Alla fine del mese di maggio 2003 il T.A.R. sospende in via cautelativa la delibera regionale, riservandosi di pronunciarsi successivamente sul merito della questione. Avverso l’ordinanza di sospensione la Regione Calabria ricorre al Consiglio di Stato, il quale conferma la decisione del T.A.R.. Finalmente, nel mese di luglio 2003, il giudice amministrativo dello Stretto, decidendo nel merito, accoglie il ricorso annullando la delibera avente per oggetto la “clonazione” dei Bronzi.

 

DIRITTO. Il T.A.R. annulla la delibera regionale per violazione: 1) dell’art. 7 della legge n. 241/1990, a causa della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento relativo alla “clonazione” dei Bronzi al Comune di Reggio Calabria e alla sua Provincia; 2) dell’art. 104 del D. l.vo 29 ottobre 1999, n. 490, per la mancata cooperazione tra il Ministero, la regione e gli enti locali in ordine alla promozione e allo sviluppo della fruizione dei beni culturali; 3) degli artt. 152 e 154 del D. l.vo 31 marzo 1998, n. 112, che stabiliscono che la valorizzazione dei beni culturali si attua mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato, regioni ed enti locali.

 

 

NOTA

 

Una Città -Reggio Calabria- e una Provincia  -quella reggina- unite contro la loro stessa Regione per una vicenda che potrebbe sembrare alquanto bizzarra, se non fosse per le ripercussioni socio/economiche, politiche e giudiziarie verificatesi: la “clonazione” dei Bronzi di Riace[1].

Con la delibera del 10 giugno 2002, n. 507 la Regione Calabria decide di riprodurre i due Guerrieri attraverso l’utilizzo di tecnologie di digitalizzazione no contact e di moderni strumenti di computer grafica, tecniche queste che consentono di “clonare” e non semplicemente di copiare un’opera d’arte[2]. Scopo della riproduzione sarebbe stato quello di inviare i “cloni” in giro per il mondo come testimonial del patrimonio artistico/culturale della Calabria, ciò avrebbe avuto, secondo la Giunta regionale, un positivo ritorno in termini di immagine per l’intera Regione. La Città e la Provincia di Reggio Calabria, ritenendo, al contrario, l’operazione dei “Falsi Viaggianti” pregiudizievole soprattutto per gli interessi economici - in quanto avrebbe ridotto il numero delle presenze turistiche nel loro territorio dato che nessuno avrebbe più avuto interesse a recarsi a Reggio per ammirare la bellezza e la possenza dei due “originali” - impugnano la delibera n. 507/2002 davanti al T.A.R. reggino.

Il T.A.R., riservandosi di decidere il merito della questione in un secondo momento, emette subito un’ordinanza di sospensione cautelativa della delibera; avverso tale decisione la Regione Calabria ricorre al Consiglio di Stato il quale conferma la decisione del giudice amministrativo dello stretto. La decisione nel merito, con cui il T.A.R. ha annullato la delibera avente per oggetto la riproduzione dei due Guerrieri[3], giunge dopo lo svolgimento di una consultazione referendaria nella città di Reggio Calabria che ha portato alla vittoria il comitato del no alla “clonazione”[4].

La sentenza in epigrafe merita di essere esaminata sia da un punto di vista squisitamente procedurale, sia da un punto di vista sostanziale.

Dal primo punto di vista, il giudice amministrativo ha ravvisato la invalidità della delibera per violazione dell’art. 7 della legge 241/1990 che prevede “l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre gli effetti diretti” [5]. Siccome il provvedimento impugnato svolgeva efficacia diretta sulla comunità reggina, l’avvio del procedimento doveva essere comunicato al Comune e alla Provincia di Reggio Calabria in quanto parti necessarie poiché si tratta, appunto, di quelle parti nella cui sfera soggettiva il provvedimento è destinato a produrre modificazioni giuridiche in senso stretto e, cioè, effetti diretti. La finalità dell’obbligo di comunicazione è quella di “consentire alla parte interessata di partecipare al procedimento amministrativo fin dal momento del suo concreto avvio o, quantomeno, di inserirvisi in una fase che non sia avanzata o, peggio, conclusiva, altrimenti risultano del tutto eluse le finalità partecipative e di trasparenza dell’azione amministrativa”[6].

L’inadempimento dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti individuati dalla norma, “costituisce vizio di violazione di legge e comporta la illegittimità del provvedimento finale emanato”[7]. In tale ottica, anche nei casi in cui si ritiene non sussistere tale obbligo o perché la partecipazione del soggetto non potrebbe influire sull’emanazione dell’atto finale attraverso documenti o argomentazioni, come avviene nel caso di attività interamente vincolata della P.A., ovvero perché la funzione della partecipazione è stata in qualsiasi altro modo realizzata, viene, comunque, riconosciuta l’invalidità dell’atto finale come conseguenza della mancata comunicazione, ex art. 7, ogni qual volta il soggetto non avvisato sia riuscito successivamente a provare che “ove avesse potuto tempestivamente partecipare al procedimento stesso, avrebbe potuto presentare osservazioni e opposizioni che avrebbero avuto la ragionevole possibilità di avere un’incidenza causale nel provvedimento terminale”[8]. Quanto alla responsabilità conseguente alla violazione di tale obbligo, la dottrina ha rilevato che “l’omissione di atti e operazioni al cui compimento il funzionario è tenuto per legge o per regolamento”, oltre ad essere sanzionata ex art. 328 c.p.,  potrebbe far sorgere una fattispecie di responsabilità civile a carico del funzionario stesso nei confronti del soggetto cui il comportamento omissivo abbia arrecato un danno (art. 25 t.u. imp. Stat.)[9].

  La delibera è, poi, invalida per violazione dell’art. 104 del D. l.vo 29 ottobre 1999, n. 490, secondo cui “il Ministero, le regioni e gli enti locali cooperano alla promozione e allo sviluppo della fruizione di beni culturali”, dato che la Regione, prescindendo dalla cooperazione con gli enti locali interessati, si è appropriata dell’immagine dei Bronzi in maniera occulta e unilaterale. La delibera regionale è, da ultimo, invalida per violazione degli articoli 154[10] e 155[11] del D. l.vo 31 marzo 1998, n. 112, i quali prevedono che in ogni regione venga istituita la Commissione per i beni e le attività culturali con il compito di formulare una proposta di piano pluriennale e annuale di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle relative attività con lo scopo di armonizzare e coordinare, nel territorio regionale, le iniziative dello Stato, della Regione, degli enti locali e di altri possibili soggetti pubblici o privati; a tal riguardo, bisogna rilevare che la delibera de quo, lungi dall’essere il risultato di un intervento programmato e coordinato, è stata, invece, il frutto di una iniziativa unilaterale ed estemporanea da parte della Regione.

Dall’analisi complessiva delle norme esaminate risulta evidente che la delibera è illegittima[12] per vizio di violazione di legge. La Regione Calabria non solo ha valutato autonomamente l’opportunità di riprodurre i Bronzi prescindendo dal coinvolgimento degli altri soggetti interessati, quali, in primo luogo il Comune di Reggio Calabria, nel cui museo i Bronzi sono esposti, e la sua Provincia ma lo ha fatto anche al di fuori di un programma generale e preventivo che avrebbe dovuto essere attuato mediante il ricorso a strumenti partecipativi come intese o conferenze di servizi. Ad avviso di chi scrive, l’importanza e l’imprescindibilità del ricorso a strumenti partecipativi riguardo all’attuazione di attività di valorizzazione dei beni culturali, di cui la riproduzione dell’opera costituisce una forma, si desume implicitamente dall’art. 118, terzo comma, Cost., il quale prevede che la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni nella materia della tutela dei beni culturali. Se forme di intesa e coordinamento sono comunque previsti per la tutela dei beni culturali, materia affidata alla legislazione esclusiva dello Stato, ex art. 117, II comma, lettera s), Cost., si pensi allora all’importanza del ricorso agli strumenti partecipativi riguardo alla valorizzazione dei beni culturali, materia rientrante, invece, nella potestà concorrente[13], ex art. 117, III comma, Cost., a causa del fatto che proprio con riguardo all’attività di valorizzazione potrebbe sorgere maggiormente l’esigenza di coordinare iniziative che possono incidere su una pluralità di interessi [14].

Da un  punto di vista sostanziale, bisogna precisare che mentre la riproduzione di un’opera d’arte si giustifica generalmente in una logica di valorizzazione dei beni culturali, la riproduzione dei due Guerrieri, così come è stata concepita dalla Regione Calabria, non può trovare alcuna giustificazione men che mai in termini di valorizzazione. Come si sa, nelle attività di valorizzazione dei beni culturali rientrano quelle concernenti il miglioramento dell’accesso ai beni e la diffusione della loro conoscenza mediante riproduzioni, pubblicazioni e ogni altro mezzo di comunicazione. La “clonazione” deliberata dalla Regione, da effettuarsi su scala 1:1 con l’impiego di tecnologia di rilevazione di altissimo livello, non rientra minimamente tra le riproduzioni che, come le sculture in scala ridotta, le fotografie, i disegni, valorizzano un bene culturale, al contrario essa intacca i caratteri di unicità ed originalità dell’opera d’arte. Secondo il T.A.R. reggino la valorizzazione dei Bronzi di Riace, con ripercussione di effetti favorevoli sul territorio può avvenire solo attraverso tecniche di riproduzione che “incrementano la diffusione della conoscenza dell’opera e stimolano l’interesse a vedere l’originale”, tecniche, quindi, che “non intaccano ma piuttosto esaltano l’unicum dell’opera d’arte”.

 Nelle attività di valorizzazione dei beni culturali si fanno rientrare anche quelle concernenti il miglioramento della conservazione fisica dei beni e della loro sicurezza, integrità e valore. In quest’ottica la “clonazione” di un capolavoro può essere giustificata solo se essa avviene per esigenze di tutela, come il controllo dello stato di conservazione, l’individuazione degli opportuni interventi di restauro, o per esigenze di ricerca, come l’individuazione di tecniche e metodi scientifici di studio. La “clonazione” dei Bronzi, al contrario, prescinde da tutto ciò poiché ha come unica finalità quella di rafforzare iniziative promopubblicitarie della Regione mediante l’invio dei “cloni” in giro per il mondo e, per tale ragione essa è lesiva degli interessi turistici di cui sono portatrici la città di Reggio Calabria e la sua Provincia: “la valorizzazione di un’opera d’arte e la promozione e organizzazione di attività culturali” sostiene il T.A.R. “hanno senso nella misura in cui divengono strumenti reali per uno sviluppo complessivo del territorio e della sua collettività”. La delibera regionale, sotto questo profilo, oltre ad essere inconcepibile, è viziata per eccesso di potere per manifesta contraddittorietà e illogicità.

 

[1] Mitici Guerrieri rinvenuti il 16 agosto 1972 sul fondale marino, a circa 300 metri davanti a Riace (R.C.), lungo la costa Jonica. Restaurati a Firenze, nel 1979 vennero esposti nel Museo Archeologico del capoluogo toscano e, successivamente, nei Saloni del Quirinale a Roma per poi ritornare a Reggio Calabria ed essere esposti definitivamente nel Museo della Magna Grecia.

[2] La clonazione dei Bronzi di Riace, in I Calabresi nel Mondo, rivista d’informazione della Regione Calabria, num.3, marzo 2003, 6 e seg.

[3] Può davvero riposare in pace il grande Renato Guttuso che, vent’anni fa, quando per la prima volta si parlò dei Bronzi itineranti, paventando l’effettiva realizzazione delle copie, disse: “le idee più stupide, più insane, in definitiva più immorali, finiscono quasi sempre nel nostro Paese per prevalere sulla dignità e sulla ragione”. In Gazzetta del Sud del 01/07/2003.

[4] Dal 30 giugno al 6 luglio 2003 si è svolto nella Città di Reggio Calabria un referendum consultivo, con valore simbolico, quindi assolutamente non vincolante, che ha portato alla vittoria il comitato del “no” alla riproduzione, (comitato trasversale che ha visto unite le forze politiche di destra e di sinistra). “Tale referendum è stato importante” ha sostenuto il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti, “perché, da un lato, ha rappresentato la prima esperienza, svoltasi in Italia, che ha avviato un processo di partecipazione dei cittadini alle decisioni di chi amministra gli enti locali; dall’altro perché c’è stato il coinvolgimento dei giovani in quanto, per la prima volta nella storia delle consultazioni popolari, è stato consentito anche a tutti i cittadini che avessero compiuto il quindicesimo anno di età, alla data di inizio dello svolgimento del referendum, di esprimere la propria volontà. In Gazzetta del Sud del 29/06/2003 e del 6/07/2003.

[5] L’art. 8 della legge 241/1990 stabilisce che: “l’amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento mediante comunicazione personale. Nella comunicazione debbono essere indicati: a)l’amministrazione competente; b)l’oggetto del procedimento promosso; c)l’ufficio o la persona responsabile del procedimento; d)l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti.”

[6] Cons. St., sez. V, 26 maggio 1997, n. 560.

[7] T.A.R. Lazio, sez. I, 3 aprile 1996, n. 567.

[8] T.A.R. Sicilia, 28 gennaio 1998, n. 74.

[9] CERULLI  IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, 397.

[10] L’art. 154 del D. l.vo 31 marzo 1998, n. 112, stabilisce che: “E’ istituita in ogni regione a statuto ordinario la commissione per i beni e le attività culturali, composta da tredici membri designati: a) tre dal Ministro per i beni culturali e ambientali; b) due dal Ministro per l’università e la ricerca scientifica e tecnologica; c) due dalla regione; due dall’associazione regionale dei comuni; uno dall’associazione regionale delle province; d) uno dalla Conferenza episcopale regionale; e) due dal CNEL tra le forze imprenditoriali locali. I componenti di cui al comma 1, lettere a) e c) sono individuati tra i dirigenti delle rispettive amministrazioni o anche tra esperti esterni. Il presidente della commissione è scelto tra i suoi componenti dal Presidente della Giunta regionale d’intesa con il Ministro per i beni culturali e ambientali. I componenti della commissione restano in carica tre anni e possono essere confermati”.

[11] L’art. 155 del D l.vo 31 marzo 1998, n. 112, stabilisce che: “Ciascuna commissione, ai fini della definizione del programma nazionale e di quello regionale, istruisce e formula una proposta di piano pluriennale e annuale di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle relative attività, perseguendo lo scopo di armonizzazione e coordinamento, nel territorio regionale, delle iniziative dello Stato, della regione, degli enti locali e di altri possibili soggetti pubblici e privati. La commissione svolge inoltre i seguenti compiti: a) monitoraggio sull’attuazione dei piani di cui al comma 1; b) esprime, su iniziativa delle amministrazioni statali e regionali, pareri in ordine a interventi di tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali”.

[12] Generalmente, l’invalidità amministrativa si configura come annullabilità, termine che la giurisprudenza identifica con quello di illegittimità. Nel caso di specie, il T.A.R. reggino profila addirittura l’ipotesi della nullità della delibera de quo sulla base dell’art. 135 del D. l.vo 29 ottobre 1999, n. 490, il quale stabilisce che: “Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti  contro i divieti stabiliti dalle disposizioni di questo Titolo, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esso prescritte, sono nulli”.

[13] Il nuovo articolo 117, III comma, Cost., come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, stabilisce che: “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

[14] Tale previsione è espressamente contenuta nell’art. 152 D. l.vo 31 marzo 1998, n. 112, il quale, al I comma, stabilisce che: “la valorizzazione viene di norma attuata mediante forme di cooperazione strumentali e funzionali tra Stato, regioni ed enti locali”.