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Giurisprudenza
Cave e torbiere
2010
Anni: 2009 - 2008 - 2007 - 2006 - 2005 - 2004 - 2003 - 2002 - 2001 - 2000 - 1999-92
Si veda anche: Espropriazione
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CAVE E TORBIERE - Prima pulitura del materiale di cava - Limo - Applicazione della disciplina sui rifiuti - Esclusione - Fattispecie - Artt. 185 e 256 c.3 D. L.vo n.152/2006. Il limo non rientra nel campo di applicazione della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del D.L.gs. n.152 del 2006. I fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di cava non possono essere considerati rifiuti, l'esclusione contemplata dal D.L.gs n.152 del 2006, art.185, non può operare esclusivamente per la prima setacciatura del materiale estratto, in quanto non si vede la ragione per la quale la prima pulitura del materiale estratto, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non possa avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio il quale costituirebbe, a differenza della setacciarura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria. Nella specie, risultando il limo veniva prodotto dall'attività di primo lavaggio "...consistita nel primo lavaggio della ghiaia rilevata da coltivazioni di cava...", va ritenuta insussistente l'ipotesi di reato di cui all'art.256 c.3 D. L.vo n.152/06. (Annulla senza rinvio sentenza del 16.9.2009 del Tribunale di Pordenone) Pres. Ferrua, Est. Amoresano, Ric. Coletto. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 22/11/2010 (Ud. 21/10/2010) Sentenza n. 41014
CAVE E TORBIERE - DIRITTO URBANISTICO - Attività di apertura e di coltivazione di una cava - Autorizzazione e controllo - Competenza - Manufatti edilizi connessi con il ciclo produttivo - Natura precaria - Permesso di costruire - Esclusione - Manufatti edilizi con durevole trasformazione del territorio - Permesso di costruire - Necessità - Art.10 T.U.E. n.380/2001. L'attività di apertura e di coltivazione di una cava, pur comportando la trasformazione del territorio, non è subordinata al controllo edilizio comunale. La compatibilità della coltivazione della cava con gli interessi urbanistici è oggetto di accertamento da parte della Regione al momento del rilascio della autorizzazione per lo sfruttamento dei giacimenti che stabilisce, di solito, l'obbligo di successiva restituzione del luogo allo stato precedente. Tale obbligo non rende tutte le opere realizzate nella cava di natura precaria o, comunque, non assoggettate al regime del permesso di costruire e su tale tema necessita fare una distinzione. Pertanto, non richiedono il permesso di costruire i manufatti edilizi non destinati a durare nel tempo, ma ad essere rimossi dopo il momentaneo uso e le attività di trasformazione del sito di natura contingente. Sicché, gli interventi che non hanno le ricordate caratteristiche, anche se connesse con il ciclo produttivo della attività estrattiva, devono svolgersi nel rispetto dei piani di settore e delle norme urbanistiche e richiedono il permesso di costruire, a sensi dell'art.10 TU n.380/2001, se determinano una durevole trasformazione del territorio (Cass. Sez.3 sentenza n° 18546/2010). (conferma ordinanza n. 8/2010 TRIB. LIBERTA' di SONDRIO, del 19/03/2010) Pres. Squassoni Est. Squassoni Ric. PM in proc. Bartolini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 12/11/2010 (Cc. 6 ott. 2010) Sentenza n. 40075
CAVE - Attività di apertura e coltivazione - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione - Rispetto della pianificazione territoriale - Necessità - Configurabilità del reato urbanistico - Presupposti - Art. 44, lett. a), T.U.E. n. 380/2001. In materia di cave, l'attività di apertura e coltivazione non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, non essendo subordinata al preventivo controllo edilizio dell'autorità comunale. L'attività medesima, però, deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell'art. 44, lett. a), del T.U.E. n. 380/2001 [Cass. Sez. unite, 31.10.2001, n. 45101, De Marinis; nonché Cass. Sez. III, 29.12.2005, n. 47281 e 21.3.2002, n. 26140]. (riforma sentenza n. 901/2008 TRIBUNALE di PALMI, del 02/07/2009) Pres. Altieri, Est. Fiale, Ric. Gioffré. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 24/09/2010 (Ud. 22.4.2010), Sentenza n. 34586
CAVE E TORBIERE - DIRITTO URBANISTICO - Attività di apertura e coltivazione di cava ed attività urbanistica - Differenza - Opere edili - Tutela del paesaggio - Ripristino dello stato dei luoghi - Art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380/2001 - Artt. 50 e 62 D.P.R. n 616/1977. L'attività di cava non è attività urbanistica in quanto lo sfruttamento del suolo per tale attività é di competenza della Regione (artt. 50 e 62 del D.P.R. n 616 del 1977). Di conseguenza l'attività di cava può interessare gli strumenti urbanistici soltanto sotto il profilo della tutela del paesaggio. Quindi tale attività può essere vietata solo per talune parti del territorio meritevoli di speciale tutela. Per il restante territorio comunale l'attività estrattiva non è in linea di massima incompatibile con la destinazione agricola del terreno e viene svolta in base a leggi regionali le quali di solito stabiliscono l'obbligo di successiva restituzione dei luoghi allo stato precedente. Tale obbligo tuttavia non rende le opere edili realizzate all'interno di un cava per natura precarie e come tali realizzabili senza titolo abilitativo. Sicché, l'attività di apertura e coltivazione di cava, pur non essendo subordinata al potere di controllo edilizio comunale, deve comunque svolgersi nel rispetto dei piani di settore e delle norme urbanistiche allorché si realizzino opere edili stabili o comunque durevoli ancorché connesse al ciclo produttivo, potendosi configurare, in difetto, la contravvenzione di cui all'art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001. (Cass. n 39056 del 2008, n 21736 del 2007 n. 26140 del 2002). (Conferma ordinanza del Tribunale della libertà di Savona del 14/10/2009) Pres. De Maio, Est. Petti, Ric. Borra. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 17/05/2010 (Cc. 7/04/2010), Sentenza n. 18546
CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - Art. 6 L.r. n. 14/98 - Nuovi ambiti territoriali estrattivi - Individuazione in prossimità delle aree già interessate da attività estrattive - Presupposto dell’esaurimento dei preesistenti giacimenti - Necessaria ricorrenza - Esclusione - Ragioni. Il secondo comma dell’art. 6 della L.r. Lombardia n. 14/98, per il quale gli ambiti territoriali estrattivi da identificare “devono accorpare aree contigue a quelle oggetto di attività, con priorità rispetto all’apertura di altre aree”, ha unicamente fissato il principio per il quale i nuovi ambiti vanno posti in prossimità delle aree già interessate da attività estrattive, sul presupposto - riferibile alla discrezionalità del legislatore regionale - che le cave debbano essere il più possibile accorpate, per consentirne una più efficace vigilanza e per salvaguardare le aree ambientali non incise dalla loro coltivazione. (cfr. Consiglio di Stato, sent. n.6233/2005). Dal medesimo principio non può invece trarsi, in via interpretativa, la conclusione per cui l’individuazione di nuovi ambiti potrebbe avere luogo solo a seguito dell’esaurimento dei preesistenti giacimenti. Tale conclusione, oltre a non essere consentita dal dato letterale della norma, urterebbe con i principi riguardanti la pianificazione, poiché - in sede di approvazione del nuovo piano - la Regione - per esigenze di salvaguardia dell’ambiente - può valutare se le aree individuate nel piano precedente siano ancora suscettibili di ulteriori coltivazioni ovvero risultino tanto compromesse da far ridurre o eliminare la precedente capacità estrattiva, con l’individuazione di altre aree idonee. Pres. Leo, Est. Plantamura - S. s.r.l. (avv. Invernizzi) c. Regione Lombardia (avv. Cederle) e altro (n.c.) - TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 30 aprile 2010, n. 1207
CAVE E MINIERE - Regione Veneto - Art. 21 L.r. Veneto n. 44/82 - Cave - Manufatti e impianti direttamente connessi con i lavori di coltivazione - Norma eccezionale - Interpretazione restrittiva - Fattispecie. L'art. 21 della l.r. del Veneto n. 44/1982, nella parte in cui prevede l'obbligatorietà del rilascio della concessione edilizia per i manufatti e gli impianti direttamente e strettamente connessi con i lavori di coltivazione, costituendo eccezione al sistema, rappresenta una norma di tipo eccezionale: in quanto tale, essa deve essere interpretata restrittivamente (Consiglio Stato , sez. VI, 27 giugno 2007 , n. 3705). Da ciò discende che la previsione normativa suddetta non può trovare applicazione nei confronti di un’istanza di sanatoria avente ad oggetto manufatti originariamente connessi con la coltivazione di una cava, ma successivamente destinati ad uso industriale (lavorazione di materiali anche non provenienti dalla cava). Pres. De Zotti, Est. Bruno - B. s.p.a. (avv.ti Borella, Sartorato e Stivanello Gussoni) c. Comune di Paese (avv.ti Ronfini e Stradiotto). TAR VENETO, Sez. II - 24 marzo 2010, n. 945
CAVE E MINIERE - AIA - Autorizzazioni relative all’esercizio di attività economiche o industriali - Recupero di cava - Iter autonomo rispetto al procedimento di AIA - Art. 5, c. 14, d.lgs. n. 59/05. A norma dell’art. 5, c. 14, del D.lgs. n. 59/05, l’AIA copre l’ambito delle autorizzazioni alle emissioni in atmosfera, allo scarico, alla realizzazione e modifica degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e all’esercizio delle relative operazioni, ma non quelle relative all’esercizio di attività economiche o industriali, quale è l’attività estrattiva, la cui disciplina (ivi comprese le operazioni di recupero) è contenuta - in ambito regionale - nella L. r. Friuli Venezia Giulia n. 35/86. A ciò consegue che le problematiche inerenti il recupero della cava sono estranee al procedimento di AIA e seguono un proprio autonomo iter, che comunque condiziona il rilascio dell’AIA. Pres. Corasaniti, Est. De Piero - D. s.r.l. (avv. Sechi) c. Regione Friuli - Venezia Giula (avv. Di Danieli). TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. I - 11 marzo 2010, n. 170
CAVE E MINIERE - Coltivazione di cave in aree boscate - Normativa regionale delle Marche - Contemperamento fra interessi contrapposti - Deroga al principio generale di divieto della riduzione di boschi esistenti - Necessario sacrificio dei boschi all’attività di cava - Esclusione - L.r. Marche n. 6/2005 - L.r. Marche n. 71/97. In tema di coltivazione di cave in aree boscate, la normativa della Regione Marche (e segnatamente, L.r. n. 6/2005 e L.r. n. 71/1997) pone dei principi che appaiono rispettosi dell’esigenza di realizzare un equo contemperamento fra interessi contrapposti, ferma restando la valutazione sulla compatibilità del singolo intervento. Bisogna infatti evidenziare in primo luogo che non esiste un divieto assoluto di riduzione delle superfici boscate (altrimenti non si spiegherebbe l’inciso dell’art. 10 e la norma dell’art. 12 della L.R. n. 6/2005, nonché la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 227/2001) e che la disciplina delle attività estrattive presenta aspetti peculiari, tali da giustificare una deroga al principio generale secondo cui è vietata la riduzione dei boschi esistenti. Questo però non vuol dire che i boschi debbono essere necessariamente sacrificati alle attività di cava, in primo luogo perché i bacini estrattivi possono essere individuati solo dove esistono litotipi pregiati in quantità tali da giustificare il dispendio di risorse finanziarie necessarie per la coltivazione di una cava, in secondo luogo perché molto spesso esistono altre emergenze ambientali e/o paesaggistiche che, unitamente alla presenza del bosco, ostano all’apertura di una cava. Pres. Passanisi, Est. Capitanio - Comune di Pergola (avv. Bedetti) c. Provincia di Pesaro e Urbino (avv. Valentini), Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e altri (Avv. Stato), A.S.U.R. Marche Zona Territoriale n. 3 di Fano (avv. Barattini) e altri (n.c.) - TAR MARCHE, Sez. I - 4 marzo 2010, n. 100
CAVE E MINIERE - Delibera della
Regione siciliana 25 novembre 2008 - Proroga delle autorizzazioni all’esercizio
di cava - Illegittimità costituzionale. Va dichiarata l’illegittimità
costituzionale degli articoli 1 e 3, comma 2, della delibera legislativa della
Regione Siciliana approvata il 25 novembre 2008, recante «Norme sulla proroga
delle autorizzazioni all’esercizio di cava e sull’aggiornamento del piano
regionale dei materiali da cava e del piano regionale dei materiali lapidei di
pregio». Attraverso la previsione di un meccanismo legale che si limita, nella
sostanza, ad introdurre una “proroga di diritto” per le autorizzazioni
all’esercizio di cave rilasciate dal Distretto minerario, la delibera
legislativa impugnata si sostituisce infatti al provvedimento amministrativo di
rinnovo, eludendo, quindi, non soltanto l’osservanza della relativa procedura
già normativamente prevista, ma anche - e soprattutto - le garanzie sostanziali
che quel procedimento mira ad assicurare, nel rispetto degli ambiti di
competenza legislativa stabiliti dalla Costituzione (sul punto, la sentenza n.
271 del 2008). Garanzie che, nella specie, riposano, appunto, sulla necessità di
verificare se l’attività estrattiva a suo tempo assentita risulti ancora
aderente allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della “proroga” o
del “rinnovo” del provvedimento di autorizzazione. Pres. Amirante, Est. Grossi -
Commissario dello Stato per la Regione Siciliana e dal Presidente del Consiglio
dei ministri c. Regione siciliana e Regione Campania -
CORTE COSTITUZIONALE - 26 febbraio 2010, n. 67
CAVE E MINIERE - L. r. Campania n. 4/2008 - Illegittimità costituzionale. La
legge della Regione Campania 6 novembre 2008, n. 14, recante «Norma urgente in
materia di prosecuzione delle attività estrattive» è costituzionalmente
illegittima. Da un lato, infatti, nessun elemento normativo garantisce che le
autorizzazioni in corso di “esercizio” (originario o prorogato) fossero state -
ab origine o in sede di proroga - assoggettate a valutazione di impatto
ambientale; dall’altro, il perdurante regime normativo di mantenimento dello
status quo cristallizza, ex lege, l’elusione dell’obbligo e, con esso,
attraverso il meccanismo della legge-provvedimento, il mancato rispetto della
normativa dettata in materia riservata alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato. Pres. Amirante, Est. Grossi - Commissario dello Stato per la
Regione Siciliana e dal Presidente del Consiglio dei ministri c. Regione
siciliana e Regione Campania -
CORTE COSTITUZIONALE - 26 febbraio 2010, n. 67
CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - Piano cave - Proposta - Giunta regionale - Integrazioni e modifiche - Artt. 7 e 8 l.r. Lombardia n. 14/98 - Interpretazione - Carattere provinciale del piano - Modifiche apportabili - Modifiche di dettaglio. Le norme degli artt. 7 e 8 comma 1 della l. r. Lombardia n. 14/98, là dove prevedono che alla proposta del Piano Cave presentata dalla Provincia, sentiti i Comuni, la Giunta regionale possa apportare “integrazioni e modifiche” da sottoporre poi al Consiglio regionale per l’approvazione finale, va interpretata nel senso che si possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte dall’adeguamento ad obblighi normativi. In tutti gli altri casi, non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta arrivata alla Giunta: le modifiche stesse vanno apportate al disegno generale della proposta adottata e su di esse devono pronunciarsi non solo i Comuni, ma anche tutti gli organi tecnici deputati ad esprimere il loro parere sul piano in parola (cfr. Tar Lombardia, Brescia, n. 893/2009). Pres. Petruzzelli, Est. Conti - Comune di Arcene (avv.ti Ballerini e Viviani) c. Regioen Lombardia (avv. Pujatti). TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I - 8 febbraio 2010, n. 618
CAVE E MINIERE - Regione Campania
- L.r. n. 34/85 - Contributo connesso con l’attività di cava - Natura
concessoria - Esclusione -Ragioni - Contributo finalizzato ad interventi di
natura compensativa o riqualificatoria. Il contributo connesso con
l’esercizio dell’attività di cava, previsto dalla L.R. Campania n. 34/1985 non è
direttamente attinente alla concessione di beni pubblici. Esso difatti è dovuto
sia nel caso in cui i suoli su cui esercitare l’attività di cava sono di
proprietà pubblica (dove quindi sussiste un rapporto concessorio sul bene), sia
nel caso in cui l’attività è esercitata su suoli di proprietà privata (dove il
titolo abilitativo è quindi di natura autorizzatoria e riguarda l’attività)
(art.5, 15 e 18 della L.R. Campania n.34/1985). Risulta quindi indipendente
dalla titolarità pubblica del fondo e si rileva connesso all’attività posta in
essere, e non direttamente allo sfruttamento del bene, ed anzi esula del tutto
da quest’ultimo aspetto, essendo previsto in relazione alla “spesa necessaria
per gli interventi pubblici ulteriori, rispetto alla mera ricomposizione
dell'area”. In sostanza quest’onere si configura quale contributo “ex lege”
finalizzato ad interventi da porre in essere sul territorio di natura
compensativa o riqualificatoria delle aree su cui l’attività viene svolta. Pres.
Domenico, Est. D’Alessandri - E. s.r.l. (avv.ti Lentini e Preziosi) c. Regione
Campania (avv. Cioffi) e Comune di Casamarciano (avv. Biamonte).
TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. IV - 20 gennaio
2010, n. 214
CAVE E MINIERE - Oneri connessi allo sfruttamento di cave - Controversie -
Giurisdizione - Giudice ordinario. Le controversie aventi ad oggetto le
richieste di pagamento degli oneri connessi allo sfruttamento delle cave
spettano alla giurisdizione del giudice ordinario. Pres. Domenico, Est. D’Alessandri
- E. s.r.l. (avv.ti Lentini e Preziosi) c. Regione Campania (avv. Cioffi) e
Comune di Casamarciano (avv. Biamonte).
TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. IV - 20 gennaio
2010, n. 214
CAVE E MINIERE - Regione Lombardia - L.r. n. 14/1998 - Approvazione del Piano cave provinciale - Regione - Modifiche - Onere di interpellare gli enti coinvolti - Limiti. La normativa regionale di riferimento (art. 7 L. r. Lombardia 8 agosto 1998, n. 14) non prevede che la Regione debba interpellare nuovamente gli enti coinvolti dalle modifiche al Piano Cave provinciale che essa intende apportare. L’onere di interpello grava sulla sola Provincia in sede di formazione della proposta di Piano ed ha ad oggetto un parere obbligatorio ma non vincolante tant’è che l’amministrazione può procedere anche in mancanza dello stesso, una volta decorsi i termini di legge. Per non stravolgere il carattere provinciale del piano è stata ritenuta - in via pretoria - indispensabile la ripetizione integrale della procedura che ha condotto alla proposta pervenuta alla Giunta regionale, con il coinvolgimento dei Comuni e degli organi consultivi competenti solo qualora l'autorità regionale, in sede di approvazione, intenda inserire nuovi ambiti territoriali estrattivi non previsti dalla proposta degli Enti locali (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 4 maggio 2009, n. 893). Pres. Leo, Est. Marzano - B.E. e altri (avv. Bonelli) c. Regione Lombardia (avv.ti Forloni e Pujatti). TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 20 gennaio 2010, n. 104