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I permessi di inquinamento negoziabili per le risorse idriche: applicabilità all’Italia

Water Quality Trading
 

VANIA PACCAGNAN*

 

 

Abstract

Water quality trading represents an institutional innovation developed in several countries in order to cope with diffuse pollution. After having described this policy instrument, this note reviews and assesses its application in the US and Australia, in order to clarify how it can be . The objective is to understand whether it can be introduce in Italy, given the current legislative and institutional framework for water resource management.

Key words:
Water quality trading, diffuse pollution, economic instruments.


 

Premessa
I permessi di inquinamento negoziabili hanno trovato amplia applicazione fin dagli anni ’80 per vari inquinanti atmosferici, sia di natura locale (es. SO2) che globale (CO2), perché giudicati in grado di raggiungere un dato standard qualitativo al minimo costo.
La presente nota intende fornire una rassegna delle esperienze dei permessi di inquinamento applicati alle risorse idriche, allo scopo di comprendere se e in che misura tale meccanismo è applicabile al caso italiano.
Il contributo, dopo aver descritto il funzionamento dei permessi di inquinamento applicati all’acqua, passerà in rassegna le principali esperienze internazionali, per evidenziarne gli aspetti applicativi e valutarne l’efficacia nel miglioramento dello stato qualitativo dei corpi idrici.


Generalità
In generale, i permessi di inquinamento si basano sul principio che l’aumento di emissioni inquinanti da una fonte dev’essere compensato dalla diminuzione equivalente di un’altra fonte. Il meccanismo può essere riassunto come segue. Uno standard ambientale è fissato dal regolatore ambientale, il quale definisce il tetto massimo di inquinamento ammesso senza tuttavia determinare la distribuzione dello stesso tra le fonti inquinanti. A questo standard corrisponde una quantità di permessi che è distribuita ai soggetti inquinatori, i quali possono decidere se conformarsi agli standard ambientali, abbattendo il corrispondente carico inquinante, o scambiarsi i permessi di inquinamento. In questo schema, alcune fonti di inquinamento sono autorizzate ad emettere una quantità di inquinamento superiore a quella concessa dai vincoli di legge, a patto che abbiano acquistato dei permessi da altri inquinatori che, inquinando meno dello standard consentito possono vantare dei crediti. Un mercato per i diritti di inquinamento può essere stabilito a scala locale (es. bacino idrografico), nazionale o continentale.
Gli esempi di permessi di inquinamento, nel caso delle risorse idriche, riguardano principalmente i corsi d’acqua superficiali, anche se non è mancato l’interesse scientifico per eventuali sperimentazioni al caso dei corpi idrici sotterranei. Identifichiamo un mercato dei permessi in tutti i casi in cui a un inquinatore è permesso di adempiere agli obblighi di legge in materia di inquinamento delle risorse idriche diminuendo l’apporto inquinante di altre fonti (Woodward e Kaiser, 2002). I permessi sono sempre riferiti a un singolo inquinante (quali es. i nutrienti).
Nel caso delle risorse idriche, questo strumento di politica ambientale si è affermato per due ordini di motivi (Nguyen et al., 2006). In primo luogo, per ovviare ai limiti delle politiche regolative di tipo autoritativo, che non consentono di raggiungere l’obiettivo di qualità ambientale al minimo costo1. In secondo luogo, le politiche regolative affermatisi in Europa a partire dagli anni ’70 e negli USA a partire dagli anni ’50, hanno esaurito la loro efficacia per quanto concerne gli scarichi puntuali. Con riferimento a queste fonti, il miglioramento della qualità dei corpi idrici dovrebbe passare per un inasprimento degli standard di emissione. Considerato il fatto che si sono raggiunte percentuali di abbattimento notevoli, tale inasprimento produrrebbe un aumento dei costi di enforcement considerevoli. L’attenzione dei policy makers, di conseguenza, si è rivolta alle fonti di inquinamento diffuse, la cui regolazione ambientale è normalmente impostata su approcci volontari o di regolazione degli input produttivi (quali fertilizzanti). L’imposizione di standard ambientali per le fonti diffuse si rivela tuttavia difficoltosa, date le difficoltà di monitoraggio2. Di conseguenza, risulta più conveniente porre in essere un mercato dei diritti dell’inquinamento tra fonti di inquinamento diffuse e fonti di inquinamento puntuali o tra fonti d’inquinamento puntuali solamente.
I permessi di inquinamento applicati alle acque, pertanto, non possono essere pensati se non in combinazione con altri strumenti di politica ambientale, soprattutto di tipo Command e Control. La prima condizione per poter introdurre un mercato dei permessi è infatti la fissazione dello standard ambientale, la quantità massima di inquinante che il regolatore ambientale autorizza (la c.d. “bubbole”), data dalla somma dei singoli contributi. In questo senso, i permessi si sommano anziché sostituire gli strumenti regolativi già in essere.
Di fatto, l’introduzione di questo meccanismo coincide con la creazione di un mercato ex novo, quello dei permessi di inquinamento. Per questo motivi gli aspetti istituzionali devono essere attentamente valutati e analizzati nella fase di implementazione del sistema, allo scopo di garantire l’efficacia dello strumento stesso.
In particolare, affinché il mercato permetta il raggiungimento dell’obiettivo di policy al minimo costo è necessario che i diritti di inquinamento siano ben definiti e che non esista potere di mercato dei soggetti che si scambiano i permessi.
In riferimento al primo aspetto, la completezza del mercato dei diritti d’inquinamento è garantita dalla chiara definizione degli stessi (devono essere, in altri termini, chiaramente definiti i diritti allo scarico degli inquinatori, il c.d. entitlement), dalla trasferibilità degli stessi (transferability) e dal diritto di proteggere tale diritto contro le pretese altrui (enforceability) (Woodward e Kaiser, 2002). Per quanto concerne la definizione della titolarità dei permessi, se il diritto ad inquinare è già sancito dalle attuali autorizzazioni allo scarico, non lo stesso si può dire per l’assegnazione del permesso all’inquinatore. In generale, le modalità di distribuzione dei permessi maggiormente usate sono il grandfathering e il sistema delle aste. Nel primo caso (maggiormente usato), la quantità di permessi è proporzionale alle quantità inquinanti storicamente emesse. Nel secondo caso, gli inquinatori devono acquistare i permessi messi all’asta dal regolatore ambientale. Nella fase di design, l’altro aspetto da prendere in considerazione riguarda la fissazione della bubble. Nel caso delle risorse idriche, storicamente si è preferito regolare puntualmente gli scarichi, anche se il peso delle fonti diffuse ha prodotto un cambio di approccio regolatorio, sempre più informato dal principio della qualità del corpo idrico recettore. Mentre negli Stati Uniti questo approccio regolativo si è tradotto nella fissazione del Total Maximum Daily Load (TMDL, v. sotto), in Europa lo standard è fissato in termini di qualità del corpo idrico (es. obiettivo “buono” sancito dalla Direttiva Quadro Acque, WFD, 2000/60/CE). Manca quindi la fissazione esplicita di un limite alla quantità di sostanze inquinanti sversate in corpo idrico. Una soluzione potrebbe essere data dalla possibilità, già sperimentata negli Stati Uniti per le fonti non puntuali, di fissare lo standard in riferimento alla situazione attuale: i crediti sono pertanto assegnati alle fonti che riducono di una data percentuale i livelli di inquinamento attuali.
L’enforceability è strettamente legata al problema del monitoraggio. Mentre per le fonti puntuali un efficace monitoraggio è spesso già in essere, per le fonti diffuse i carichi sono stimati, spesso sulla base di modellizzazioni. Anche i miglioramenti ambientali sono dedotti da simulazioni. È inoltre necessario verificare che effettivamente i programmi migliorativi siano posti in essere. La definizione del sistema di monitoraggio, influendo sui costi di transazione, ha importanti implicazioni per la creazione e la vivacità del mercato dei permessi. La questione è particolarmente importante nei casi in cui si vogliano coinvolgere fonti di inquinamento diffuse in cui, notoriamente, tali costi sono maggiori (Griffin e Bromley, 1982).
Con riferimento alla struttura del mercato, Woodward e Kaiser (2002) individuano quattro possibilità: borse dei permessi, negoziazioni bilaterali, mercato tramite intermediari (clearinghouses) e compensazioni one shot. Le quattro strutture differiscono per i costi di transazione e per la maggiore o minore capacità di risolvere alcuni problemi di implementazione dati dalla natura dei fenomeni di inquinamento che caratterizzano le risorse idriche.
Tra tutte le possibilità, quella di più difficile applicazione all’inquinamento idrico risulta la dei permessi. A differenza degli inquinanti atmosferici, la mancanza di uniformità delle fonti di inquinamento idrico e delle tipologie di inquinanti, derivante da varie caratteristiche dei fenomeni di inquinamento, ostacola l’efficace scambio di permessi. In particolare:

- sono differenti le fonti di inquinamento (puntuali vs. diffuse) e per quelle diffuse risulta incerto l’apporto inquinante
- sono diversi gli impatti delle diverse fonti (a seconda ad esempio della distanza dal corpo idrico recettore o altre condizioni fisiche).

Di conseguenza, risulta difficile compensare l’aumento dell’inquinamento di una fonte con l’esatta riduzione di un’altra fonte. A tale scopo, nelle realtà considerate, sono stati introdotti dei trading ratio, ossia dei rapporti di equivalenza tra fonti inquinanti, atti ad eguagliare gli apporti marginali di due diverse fonti. Un’ulteriore complicazione è data dal fatto che i costi di abbattimento non sono dati ma dipendono dalla localizzazione delle fonti inquinanti. L’inquinamento prodotto a monte, infatti, aumenterà i costi di abbattimento degli agenti posti a valle. Questa situazione rappresenta un’altra violazione del principio di uniformità. Infine, a differenza delle borse, la localizzazione delle fonti inquinanti non consente alle stesse di rimanere anonime. Di conseguenza, le borse non sono frequentemente utilizzate nell’ambito dello scambio dei permessi di inquinamento idrico.
Nella pratica, risultano maggiormente diffuse le negoziazioni bilaterali. Il problema di questi meccanismi risiede negli elevati costi di transazione provocati dai necessari controlli sul rispetto dei limiti di emissioni puntuali. Si è tentato di ovviare a questo problema in due modi: (i) istituendo dei meccanismi uniformi di calcolo dei crediti (anche via web: www.nutrientnet.org), sulla base di indicatori osservabili o (ii) certificando l’emissione dei crediti (da parte dell’US Environmental Protection Agency - USEPA). Nonostante questi tentativi, le negoziazioni bilaterali risultano preferibili nei casi in cui le fonti inquinanti non siano numerose. L’anonimato delle fonti in questo caso non è garantito.
Non così invece nel caso delle clearing houses, dove compratori e venditori di permessi non si incontrano, visto che gli scambi sono mediati da un terzo soggetto, che acquista i permessi dai venditori e li rivende ai richiedenti. Questo meccanismo potrebbe ridurre i costi di transazione a condizione che i costi di costituzione dell’intermediario non compensino i guadagni derivanti dal centralizzare le transazioni. Un altro aspetto negativo è dato dal fatto di rivendere i permessi al prezzo medio di acquisto, violando perciò la condizione di eguaglianza tra costi marginali di abbattimento e prezzo dei permessi. Questo meccanismo, in linea teorica, è applicabile ai casi in cui ci siano numerosi inquinatori che fronteggiano costi di abbattimento uniformi.
L’ultimo tipo di meccanismo viene denominato impropriamente trading, visto che nella pratica consiste nella compensazione tra diverse fonti inquinanti, dove alcune giustificano l’aumento di carico inquinante o la non conformità agli standard attraverso riduzioni e miglioramenti degli scarichi posti in essere da altre fonti inquinanti. Questo sistema risulta il meno incentivante, dato che coinvolge solamente le fonti inquinanti che non rispettano gli standard, mentre non crea incentivi a ridurre ulteriormente gli standard oltre gli standard puntuali.

Esperienze internazionali
I paesi che maggiormente hanno sperimentato il sistema dei permessi applicati alle acque risultano essere gli Stati Uniti e l’Australia, che li hanno introdotti per far fronte principalmente a problemi di eccessivo carico di nutrienti e di salinità dei corpi idrici.
Nel primo caso si contano 27 programmi di negoziazione tra inquinatori. Di questi, 23 riguardano negoziazioni tra fonti diffuse e non e 4 riguardano i mercati tra fonti inquinanti puntuali. La maggior parte dei programmi (22) riguarda i nutrienti, mentre solo 2 riguardano metalli e 3 singole sostanze (selenio e sedimenti).
Nella pratica, questi programmi si sono affermati per rispondere a due tipi di esigenze. Da un lato, l’introduzione di mercati di permessi di emissione è presa in considerazione qualora una fonte inquinante, pur sottoposta a dei limiti di emissione, voglia espandere la propria produzione. In questo caso, risulta conveniente coinvolgere altre fonti di inquinamento (spesso di origine diffusa) che presentano costi di abbattimento più bassi, per compensare il proprio aumento di carico inquinante con la diminuzione dello stesso operata da una fonte alternativa. Dall’altro, i mercati sono stati introdotti nelle situazioni in cui occorreva imporre dei limiti stringenti agli scarichi, allo scopo di raggiungere l’obiettivo di qualità ambientale a minor costo. Nel caso degli Stati Uniti lo standard ambientale, sulla base del quale emettere i permessi, è il c.d. Total Maximum Daily Load (TMDL), ossia la quantità massima di carico inquinante che può essere sversata su un corpo idrico senza peggiorarne la qualità ambientale (CITF, 2003).
Allo scopo di incoraggiare le pratiche di emission trading applicate agli inquinanti idrici, la USEPA ha redatto un documento contenente le linee guida per lo sviluppo di questi mercati (USEPA, 2003).
Descriviamo di seguito tre casi di mercati dei permessi che si differenziano per tipologia delle transazioni, inquinanti trattati e successo: il fiume Fox (Wisconsin), il bacino del Tar Pamlico (North Carolina) e il lago Dillon (Colorado).
Il fiume Fox costituisce il primo esempio di emission trading applicato alle risorse idriche negli Stati Uniti (OECD, 1999). Nel 1981 il Wiscounsin Department approvò la possibilità di scambiare i permessi di scarico nel fiume Fox, con riferimento agli scarichi che incrementano il carico di BOD nel corpo idrico. L’idea del programma era di introdurre un certo grado di flessibilità nell’adempimento degli standard ambientali per le fonti di inquinamento puntuali. In pratica, era prevista la possibilità per le fonti che riuscivano a ridurre il carico di BOD versato nel fiume rispetto al valore limite di legge, di vendere la differenza ad altre fonti. Il programma fu lanciato sulla base di stime secondo le quali gli scambi avrebbero consentito di risparmiare 7 milioni di $ nei costi di recepimento della normativa. I soggetti coinvolti erano ventuno. In realtà, i costi si sono rivelati sostenibili e finora nessuno scambio è stato registrato. I motivi del mancato successo del programma sono (Carlin, 1992):

- lo sviluppo da parte delle industrie inquinanti di alternative di policy che hanno permesso comunque di recepire la normativa;
- l’incertezza normativa legata al fatto che il Clean Water Act non autorizza espressamente gli scambi;
- le restrizioni agli scambi imposte dalla normativa statale.

Nel caso del bacino del Tar Pamlico, il mercato nasce come conseguenza di un’azione dell’Associazione di Industriali, in risposta a un inasprimento degli standard ambientali per le concentrazioni di nitrati e fosforo (Nguyen, 2006). Nel 1989, infatti, la North Carolina Environmental Management Commission definì il bacino Tar-Pamlico come zona vulnerabile ai nutrienti. In seguito alla ricognizione delle fonti inquinanti, risultò evidente che il maggior apporto veniva dalle fonti di origine diffusa. Nonostante questo risultato, la Commissione suggerì di fermare l’aumento degli apporti derivanti da fonti puntuali. La reazione degli industriali si concretizzò nella formazione di un’Associazione, per proporre l’introduzione di mercati dei permessi anziché rafforzare i controlli sulle fonti puntuali. In particolare, la proposta prevedeva:

- la regolazione del carico nutriente prodotto in aggregato dalle fonti puntuali, autorizzando perciò lo scambio di nutrienti tra soggetti inquinatori;
- l’impegno per i membri dell’Associazione a versare dei contributi ad un fondo per incoraggiare la riduzione dell’inquinamento da fonti diffuse allo scopo di compensare ogni sforamento dalla “bolla” definita per gli inquinatori puntuali.

In seguito a questa proposta, si svilupparono due mercati, uno tra fonti puntuali (un soggetto industriale e una dozzina di impianti di trattamento delle acque reflue civili), attraverso negoziazioni bilaterali, e uno tra fonti puntuali, da un lato, e fonti diffuse, dall’altro, attraverso un intermediario (clearinghouse) tra l’associazione degli industriali e gli agricoltori. Di fatto, la clearinghouse rimborsa agli agricoltori il 75% dei costi di implementazione di best practices allo scopo di ridurre gli apporti di azoto e fosforo. Dal 1996 $ 750,000 sono stati versati come contributi a fondo perduto per la riduzione dell’inquinamento di origine diffusa. L’adesione all’Associazione è volontaria ma, per i non membri, alle singole fonti puntuali si applicano gli standard definiti a livello nazionale. Nel caso esaminato, le fonti puntuali contribuiscono per il 15% al carico totale sversato. Ogni membro dell’Associazione provvede al versamento di $56 per kg prodotto da conferire al fondo per il finanziamento di interventi alternativi al miglioramento degli scarichi puntuali. Il limite complessivo di scarico (la “bubble”) ammontava nel 2004 a 425.000 kg. Se le emissioni risultano inferiori alla bubble, all’Associazione è consentito accantonare la quota rimanente sotto forma di crediti (banking) da poter utilizzare negli anni successivi. Nel complesso, lo scarico totale di nutrienti è diminuito del 18%.
Infine, il caso del lago Dillon è un buon esempio di scambi tra fonti diffuse e puntuali. A fronte della fissazione di limiti annuali agli scarichi nel lago, è data la possibilità alle fonti puntuali di compensare gli sforamenti di tale limite attraverso il supporto alla rimozione dell’apporto da fonti diffuse. Per ovviare all’incertezza derivante dalle azioni di contenimento dell’apporto da fonti diffuse, gli scambi sono stati regolati in rapporto 2 : 1. In altri termini, ogni aumento di una tonnellata di carico da fonti puntuali dev’essere compensato da una diminuzione di due tonnellate di carico da fonti diffuse. Lo scambio dovrebbe risultare conveniente per l’inquinatore “puntuale”, considerato che si stima che la riduzione di una libbra di fosforo tramite depurazione costa $860, mentre la stessa riduzione da fonte diffusa costa $119 (OECD, 1999).
Nella realtà statunitense i mercati dei permessi di fatto si concretizzano in meccanismi di contrattazione. In Australia, invece, il mercato dei permessi di inquinamento ha sviluppato più meccanismi istituzionali. Un primo esempio riguarda principalmente la salinità dei corsi d’acqua, provocata dall’industria mineraria o dalle acque di raffreddamento utilizzate nei processi di produzione di energia elettrica. Il caso più interessante è quello rappresentato dal fiume Hunter (nello stato del New South Wales). Nel bacino, l’incremento della salinità provocava aumenti di costi di trattamento delle acque a scopi potabili e riduzione dei raccolti agricoli. Di conseguenza, l’EPA del New South Wales ha emesso dei permessi per 11 miniere di carbone, specificanti il massimo incremento di conduttività del fiume causato dallo scarico. Questo limite è stato rimosso e sostituito con un indice di concentrazione di salinità per le acque riceventi lo scarico. Allo scopo di implementare il regime, il fiume è stato diviso in tre sezioni (alta, media e bassa). Ogni inquinatore è stato assegnato a una sezione. Ogni punto di monitoraggio lungo il fiume individua un blocco, in cui è divisa l’asta. Ogni credito autorizza il possessore a scaricare lo 0.1% del massimo carico disponibile per ogni blocco. I possessori di crediti sono liberi di scambiarsi i permessi con altri possessori, ma tutti gli scambi devono essere registrati in un apposito registro (Credit Register). L’assegnazione dei permessi avviene sulla base di un meccanismo piuttosto complicato: dapprima una “merit formula” viene calcolata, considerando la gestione ambientale di ogni attività mineraria; in secondo luogo, un punteggio di performance ambientale viene calcolato attraverso le elaborazione del piano di gestione di bacino. Problemi nella raccolta e analisi dei dati, uniti a problemi di siccità, hanno di fatto impedito al programma di decollare (OECD, 1999).
Un sistema più semplice è quello introdotto per lo scambio di permessi per i nutrienti, sempre nello stato del New South Wales (Australia). La New South Wales ha introdotto un c.d. “bubble regime”, costituito dall’insieme dei 3 impianti di trattamento collocati nel bacino del Hawkesbury-Nepean (Sydney), tutti di proprietà di uno stesso operatore, che contribuiscono per il 60% e per il 75% del carico di fosforo e azoto del bacino. L’idea è che il regolatore ambientale controlli il carico inquinante totalmente generato nel bacino (la “bubble”), anziché le singole fonti puntuali. Viene, in altri termini, lasciata libertà al gestore degli impianti di depurazione di cercare di recepire gli standard ambientali ricercando la soluzione migliore in termini di costo-efficacia. Si stima infatti che i risparmi di costo si aggirino intorno al 10-20% dei costi totali.

Fattibilità di un mercato dei permessi nel caso italiano
L’analisi delle criticità nell’applicazione del mercato dei permessi e le esperienze internazionali ci consentono di valutare la fattibilità di un sistema di water quality trading (WQT) nel caso italiano.
Una prima difficoltà da superare affinché un sistema dei permessi possa essere efficacemente introdotto è data dalla sua legittimità, ossia dal fatto che tale sistema non sia in palese contrasto con la normativa in vigore. Questo aspetto, negli Stati Uniti, si è rivelato cruciale: il Clean Water Act, infatti, non prevedeva tale meccanismo in tal senso e molti programmi hanno dovuto superare anche lo scoglio della legittimità della possibilità di scambiarsi i permessi.
Nel caso italiano, queste difficoltà non dovrebbero presentarsi, per diversi ordini di motivi. Innanzitutto il recepimento del Protocollo di Kyoto tramite la l. 120/2002 e della Direttiva sull’ETS ha introdotto nel nostro paese questo strumento di politica ambientale. In linea di principio, nulla vieterebbe di introdurre un sistema analogo per le acque (IRER, 2006). Neanche la legislazione di settore pone particolari ostacoli, considerato che la WFD prevede espressamente la possibilità di introdurre delle misure supplementari allo scopo di raggiungere il buono stato ecologico. Neanche l’esistenza di standard di emissione puntuali (cfr. Dir. 271/91 recepita tramite D.Lgs. 152/99) impedisce di introdurre mercati dei permessi, specialmente nelle zone in cui il rispetto di questi standard non sia sufficiente al raggiungimento del buono stato ecologico. In queste realtà, infatti, sarà necessario inasprire gli standard puntuali (possibilità non vietata dal legislatore). I crediti di inquinamento, in tali contesti, potrebbero garantire il raggiungimento dell’obiettivo di policy al minimo costo, considerata la flessibilità che lasciano ai soggetti economici nella scelta delle tecnologie di abbattimento.
Nel caso della Regione Lombardia, ad esempio, il sistema è particolarmente indicato per la riduzione dei carichi inquinanti da fonti diffuse, aspetto che merita particolare attenzione vista la designazione della totalità della superficie regionale come area sensibile ai sensi del D.Lgs. 152/99.
Se in linea teorica non ci sono ostacoli legislativi all’introduzione di questo meccanismo in Italia, numerosi punti critici si possono sollevare all’atto dell’implementazione del sistema.
Il primo è l’individuazione della scala territoriale adeguata per l’introduzione del water quality trading. Le esperienze internazionali mostrano che generalmente gli scambi avvengono, nel caso dei fiumi, a livello di bacino idrografico. Nel caso italiano le possibilità di scelta sono duplici: da un lato esiste la possibilità che un unico sistema venga introdotto per tutto ogni bacino; dall’altro, l’alternativa consiste nell’introdurre più mercati, uno per ogni sottobacino. La prima soluzione appare quella più delicata dal punto di vista dell’implementazione: se da un lato, infatti, garantirebbe un numero di fonti di inquinamento maggiore (e aumentando potenzialmente il numero dei soggetti partecipanti al mercato), dall’altro aumenterebbero parallelamente i costi di transazione derivanti dalla maggiore difficoltà delle contrattazioni e dalla necessità di introdurre dei sistemi di trading ratio per tenere in considerazione l’eterogeneità degli scarichi nei due sottobacini. L’introduzione di un soggetto regolatore (per la standardizzazione dell’emissione dei permessi) e di un intermediario potrebbe far diminuire i costi di transazione. La seconda possibilità vede un numero più esiguo di soggetti inquinatori: da un lato la minore numerosità dei soggetti coinvolti potrebbe rendere superfluo l’introduzione di un mediatore; dall’altro l’esito del mercato sarebbe quindi lasciato solamente alla buona riuscita delle contrattazioni bilaterali (possibilità questa che potrebbe di nuovo aumentare i costi di transazione). La suddivisione in sottobacini, infine, potrebbe produrre delle sperequazioni nella riduzione dei carichi inquinanti, nel caso in cui i costi di abbattimento presentino una varianza notevole da sottobacino a sottobacino.

Altri requisiti da soddisfare per poter applicare tale approccio sono i seguenti (Maran et al., 2006):

- la presenza di criticità nei bacini non risolvibili con strumenti di politica ambientale tradizionale, quali gli standard o le tasse sugli scarichi;
- la disponibilità di informazioni ambientali che consentano da un lato di caratterizzare il problema (ad esempio in termini di incidenza delle fonti di inquinamento puntuale sulle diffuse) allo scopo di fissare un obiettivo di miglioramento di qualità ambientale. Come detto sopra, infatti, la non esistenza in Europa di meccanismi simili alla definizione del TMDL costringe i regolatori ambientali a perseguire il miglioramento della qualità ambientale a partire dallo stato qualitativo attuale.


La disponibilità di informazioni si rivela fondamentale anche per predisporre una efficace rete di monitoraggio degli scarichi per l’emissione dei permessi e dei crediti di inquinamento. A tale proposito, è necessario sottolineare l’esigenza di un maggior coordinamento tra ARPA, quale attore preposto al monitoraggio qualitativo delle acque, e Province, come soggetti incaricati della concessione di permessi agli scarichi. Una forte freno all’introduzione di un sistema dei permessi in Italia è dato dal fatto che i dati relativi alle autorizzazioni agli scarichi sono frequentemente disponibili solamente in formato cartaceo, e come tali difficilmente accessibili e utilizzabili per fissare gli obiettivi di abbattimento di inquinamento degli scarichi. Va anche segnalato che in molti casi (es, il RIAL della Regione Lombardia) sistemi informativi ambientali sono in fase di preparazione ma saranno disponibili solo tra qualche anno. In assenza infatti di uno standard ambientale simile al TMDL, potrebbe essere necessario raggiungere il buono stato ecologico attraverso un meccanismo trial and error, dove l’ARPA svolge una funzione fondamentale di definizione dello status di qualità del corpo idrico e la Provincia di tenuta dei registri degli scarichi. Dall’integrazione delle due basi informative si potrà comprendere l’effetto degli scarichi sulla qualità del corpo idrico e, per questa via, proporre dei miglioramenti dell’attuale condizione.
Un ultimo aspetto critico riguarda la possibilità che gli scambi di permessi effettivamente abbiano luogo. Questo aspetto dipende dalla convenienza, oltre che dalla facilità, di scambiarsi i permessi. Lo scambio può essere facilitato attraverso l’introduzione di meccanismi istituzionali volti a rendere più agevole l’incontro tra le parti. A tale proposito, la l.r. 2/03 prevede vari strumenti di programmazione negoziata. Il contratto di fiume è una possibilità già sperimentata in Lombardia. Un altro aspetto fondamentale per l’effettivo scambio di permessi è dato dalla convenienza, per i soggetti economici, a scambiarsi i permessi. Da un punto di vista economico, il mercato dei permessi è tanto più vivace quanto maggiori sono le differenze dei costi di abbattimento tra diversi soggetti (allo stato attuale tali informazioni non sono disponibili).
Con riguardo all’efficacia del water quality trading nel caso italiano, una simulazione di Maran et al. (2005), relativa all’introduzione del mercato dei permessi tra fonti diffuse e puntuali, stima che il meccanismo possa contribuire a una riduzione del 42% del carico inquinante, permettendo un risparmio di costi del 70%
Vista tale complessità, è inevitabile che si sperimenti tale meccanismo attraverso dei progetti pilota (IRER, 2006). Tale sperimentazione dovrebbe vedere coinvolti, oltre che attori istituzionali (Regione, ARPA, Province) anche le associazioni di categoria e i consorzi di bonifica, che potrebbero svolgere un importante funzione di intermediari, perciò riducendo i costi di transazione connessi all’introduzione di tale sistema.


Bibliografia
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CITF, (2003), “An Introduction to Water Quality Trading”. Report of the Conservation Innovations Task Force (CITF). December 2003. www.nacdnet.org/resources/CITF/WQTintro.htm
Griffin R.C. e Bromley D.W., (1982), “Agricultural Runoff as a Nonpoint Externality: A Theoretical Development”, American Journal of Agricultural Economics, 64: 547-52.
IRER (2006), Analisi di applicabilità di un sistema di Water Quality Trading in Lombardia, Rapporto finale di ricerca 2005B054. http://www.ors.regione.lombardia.it/publish_bin/C_2_ContenutoInformativo_1481_ListaAllegati_Allegato_32_All_Allegato.pdf
Maran S., Borgarello M. e Polimeri A. (2005), “Applicabilità di un sistema di water qualità trading in Italia”, Acqua & Aria, n. 4.
Morgan C. and Wolverton A., (2005), “Water Quality Trading in the United States”, Working Paper Series 05/07, National Centre for Environmental Economics. www.epa.gov/economics
Nguyen et al., (2006), A Guide to Market-Based Approaches to Water Quality.
OECD (1999), Implementing Domestic Tradable Permits for Environmental Protection. OECD Proceedings, Paris.
Woodward R.T. e Kaiser R.A.,( 2002) “Market Structure for U.S. Water Quality Trading”, Review of Agricultural Economics, 24 (2): 366-383.
USEPA, 2003. Water Quality Trading Policy. Office of Water. Washington, DC. http://www.epa.gov/owow/watershed/trading/finalpolicy2003.pdf

 

 

* Dipartimento di Pianificazione, Università IUAV di Venezia - IEFE, Università Bocconi.

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1 Queste regolazioni risultano essere di minimo costo solamente quando gli inquinatori presentano lo stesso costo di abbattimento marginale
2 Per le difficoltà di individuazione dei punti di scarico, per la variabilità dei carichi inquinanti provocata da una variazione delle condizioni atmosferiche e per le specificità locali relative all’utilizzo di fertilizzanti.
 



Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 3/08/2007

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