AmbienteDiritto.it - Rivista giuridica - Electronic Law Review - Copyright © AmbienteDiritto.it
Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
La direttiva 2003/87/CE sul commercio di emissioni di gas serra
nella Comunità Europea e sua attuazione in Italia.
Climate change: directive 2003/87/CE on trading greenhouse gas
emissions in the European Community and its implementation in Italy
COSIMO FISCHIETTI*
Abstract
Human activities that lead to a concentration increase of carbonic
anhydride and greenhouse gases in the atmosphere, strongly contribute to the
climate change process.
The first part of this work, analyses the stages of the world process which
brought to the adoption of the Kyoto’s Protocol (1997), the only binding
international agreement aiming at the reduction of the greenhouse gas emission.
The second part, focuses on the European strategy finalized to the achievement
of the targets set by the KP, through an analytic description of the “Emission
Trading Directive” (2003/87/CE) and the following “Linking Directive”
(2004/101/CE).
In the end, the last part of the work propose to verify the implementation of
the “ET Directive” in the Italian organisation, analysing the “National
Allocation Plan” and its integration introduced by the Government and only
partially approved by the “European Commission” on date 25th May, 2005.
Keywords: Emission Trading Directive, Linking Directive, Climate
Change, Kyoto Protocol, National Allocation Plan.
Introduzione
Le attività umane che comportano un aumento della concentrazione di anidride
carbonica ed altri gas serra nell’atmosfera contribuiscono in misura crescente
al processo del cambiamento climatico. Sebbene resista qualche divergenza
scientifica circa la dimensione del fenomeno del cambiamento climatico, è ormai
certo che la temperatura del pianeta sta crescendo.
Secondo gli studi dell’IPCC Intergovernamental Panel on Climate Change, il
gruppo di studio intergovernativo sui cambiamenti climatici sostenuto dalle
Nazioni Unite che riunisce oltre 2500 scienziati ed esperti in tutto il mondo,
la continua crescita delle emissioni e della concentrazione di gas serra ci sta
portando verso un aumento della temperatura globale
quantificabile tra 1,4 e 5,8 gradi centigradi entro il prossimo secolo. Il
cambiamento climatico più rapido degli ultimi diecimila anni.
Gli effetti non sono facilmente prevedibili, ma potrebbero essere molto pesanti.
Secondo l’IPCC ci sono prove chiare dell’influenza umana sul clima, ed è
probabile che i gas serra immessi dall’uomo nell’atmosfera abbiano già
sostanzialmente contribuito al riscaldamento osservato negli ultimi cinquanta
anni.
Gli scienziati di tutto il mondo portano più che semplici indizi a conferma che
il riscaldamento sta già avvenendo. Questi alcuni dei più rilevanti:
• un riscaldamento compreso tra gli
0,2 e 0,6 gradi centigradi nelle temperature medie del XX secolo;
• un aumento del livello del mare tra i 10 e i 20 centimetri;
• un aumento delle precipitazioni nell’ emisfero Nord del 5-10% e una parallela
diminuzione nelle zone Nord e zone Ovest della regione africana;
• un assottigliamento dei ghiacci del Polo nord di circa il 40% nei mesi estivi
e invernali degli scorsi decenni.
Mentre la comunità scientifica lancia l’allarme e continua a lavorare per capire con più precisione quali saranno gli effetti di questa maggiore concentrazione di gas serra, i governi cercano soluzioni a breve e lungo termine per invertire la rotta e ridurre le emissioni.
IL PRIMO PASSO CONCRETO VERSO LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS SERRA
NELL’ATMOSFERA: IL PROTOCOLLO DI KYOTO
Effetto serra
L’effetto serra è un fenomeno naturale, ed utile, che assicura il
riscaldamento del nostro pianeta grazie ad alcuni gas naturalmente presenti
nell’atmosfera1.
Questi gas agiscono come una sorta di vetro trasparente che avvolgendo la terra
fa passare le radiazioni provenienti dal sole ma trattiene parte delle
radiazioni, e quindi del calore, emesso a sua volta dalla terra. Proprio come in
una serra la temperatura tende a salire.
Senza l’effetto serra, la temperatura terrestre potrebbe avere una media
inferiore anche di 30 gradi centigradi rispetto a quella attuale.
Da circa 200 anni, con la rivoluzione industriale e con l’uso massiccio di
combustibili fossili, la presenza di questi gas capaci di trattenere il calore è
molto aumentata nell’atmosfera terrestre causando un anomalo riscaldamento.
Gli effetti del riscaldamento globale si manifestano all’interno del nostro
paese soprattutto per quanto riguarda l’innalzamento del livello del mare: molte
zone turistiche tra le più rinomate del Bel Paese rischiano di scomparire.
L’allarme viene da uno studio curato dall’ENEA per conto del Ministero
dell’Ambiente. Lo studio pone l’area mediterranea tra quelle mondiali a più alta
vulnerabilità in termini di perdita di zone umide e in particolare degli
ecosistemi e della biodiversità marino costiera.
Altro grosso pericolo in agguato è l’invasione di acqua salata nelle falde di
acqua dolce presenti lungo le coste (in particolare nel medio-alto Adriatico, ma
anche quelle basse del Tirreno) che potrebbe avere conseguenze sull’agricoltura
e sulla disponibilità di acqua dolce.
La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici
A metà degli anni ’80 il generale interesse per i temi ambientali e
l’aumento delle prove scientifiche sulla interferenza delle attività umane sul
clima, fecero sì che la questione dei Cambiamenti Climatici Globali entrasse
nell’agenda politica internazionale.
Nel 1988, l’organizzazione metereologica internazionale, WMO(World
Meteorological Organisation) e l’UNEP, il programma per l’ambiente delle Nazioni
Unite, diedero vita all’IPCC, un congresso internazionale di scienziati
provenienti da tutti i paesi del mondo con l’incarico di studiare se, come e
perché il clima stesse cambiando. Nel 1990 il primo report dell’IPCC confermava
che il cambiamento climatico costituisce una minaccia globale, e richiamava
l’attenzione sulla necessità di fare qualcosa.
Il 9 maggio 1992 viene redatta a New York la Convenzione Quadro sui Cambiamenti
Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC), firmata in giugno dai maggiori governi
del mondo in occasione della Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo2.
La Convenzione sui Cambiamenti Climatici è la prima iniziativa di cooperazione
internazionale diretta a ridurre gli effetti dei gas serra. I paesi che sono
Parti alla Convenzione, si incontrano annualmente in occasione della COP-
Conference of the parties, per confrontarsi sulle politiche in atto e
sviluppare nuove strategie utili ad affrontare il problema del riscaldamento
globale.
Nel preambolo della UNFCCC il cambiamento climatico viene definito come un
problema comune dell’umanità (common concern of humankind) ed in
considerazione della natura globale del fenomeno del cambiamento climatico tutti
gli Stati vengono chiamati alla più ampia cooperazione possibile, nel rispetto
delle proprie responsabilità comuni ma differenziate, delle rispettive capacità
e delle proprie condizioni economiche e sociali.
La Convenzione stabilisce, come obiettivo finale, di stabilizzare la
concentrazione di gas serra nell’atmosfera ad un livello tale da prevenire
pericolose interferenze antropogeniche (indotte dall’uomo) con il sistema
climatico.
Tale livello dovrebbe essere raggiunto in uno spazio temporale tale da
permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente al cambiamento climatico,
tale da assicurare che la produzione di cibo non sia messa a rischio e tale da
fare in modo che lo sviluppo economico proceda in maniera sostenibile.
Sebbene a tutt’ oggi non c’è ancora un accordo su quale sia questo livello di
pericolosità, l’importanza della Convenzione sta, nell’aver riconosciuto che
esiste in concreto un pericolo legato al cambiamento.
Abbiamo già detto essere obiettivo della Convenzione, la stabilizzazione di
emissione di gas serra entro i livelli del 1990.
Tale obiettivo è raggiunto attraverso una serie di impegni che le nazioni
ratificanti garantiscono di prendere.
Gli obblighi indicati dalla Conferenza di Rio si possono riassumere in:
1. indicazioni di natura politica e
socio-economica per i settori più rilevanti delle attività umane, quali la
produzione e l’uso di energia, i processi ed i prodotti industriali,
l’agricoltura e la produzione agro-alimentare e la gestione dei rifiuti;
2. indicazioni di natura politica e socio-economica internazionale, per la
cooperazione internazionale tra Paesi industrializzati e Paesi in via di
sviluppo per il trasferimento di tecnologie e know-how capaci di promuovere
crescita economica e benessere sociale con bassi impatti ambientali;
3. indicazioni di natura tecnico-scientifica per la partecipazione ai grandi
programmi di ricerca scientifica internazionale su ambiente globale e
cambiamenti climatici.
4. indicazioni di natura culturale e sociale per la diffusione delle
informazioni sulle problematiche ambientali e sulle implicazioni dei cambiamenti
climatici.
La Convenzione è adottata dai paesi industrializzati, i paesi inclusi nell’ANNEX
13, mentre i paesi in
via di sviluppo, paesi Non-ANNEX 14,
possono aderire in maniera volontaria alla misure proposte.
La UNFCCC, per la sua natura di Convenzione Quadro, tuttavia non contiene veri e
propri impegni vincolanti e misure operative per combattere il fenomeno del
cambiamento climatico, ma una serie di impegni generici diretti alla promozione
di attività di ricerca, osservazione, monitoraggio e stesura di periodiche
relazioni propedeutiche alla definizione di impegni vincolanti di riduzione
delle emissioni di gas serra5.
Per dare quindi, un maggior impulso alle politiche sul cambiamento climatico, e
imprimere una maggiore spinta operativa ai governi dei paesi industrializzati,
nel dicembre del 1997, durante la terza conferenza delle parti, in Giappone, le
Parti presenti adottarono il Protocollo di Kyoto, che integrando la Convenzione
Quadro stabilisce impegni di riduzione ben distinti per ogni paese.
Il Protocollo di Kyoto
Il Protocollo di Kyoto6
è l’unico accordo internazionale vincolante diretto a ridurre le emissioni dei
gas effetto serra, ritenuti tra i principali responsabili del riscaldamento del
pianeta. Approvato dalla Conferenza delle Parti nella sua terza sessione
plenaria tenutasi a Kyoto dal 1 al 10 dicembre 1997, il Protocollo è un atto
esecutivo contenente le prime decisioni operative degli impegni individuati
dalla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, UNFCCC (1992).
Il Protocollo di Kyoto indica gli obiettivi internazionali per la riduzione di
sei gas a effetto serra7,
e impegna i Paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (i Paesi
dell’est europeo) a ridurre complessivamente del 5,2% rispetto ai valori del
1990 le principali emissioni antropogeniche di gas capaci di alterare l’effetto
serra naturale del nostro pianeta.
I sei gas regolati dal Protocollo di Kyoto sono:
1. il biossido di carbonio (CO2);
2. il metano (CH4),
3. l’ossido di azoto (N20)
4. gli idrocarburi fluorati (HFC);
5. gli idrocarburi perfluorati (PFC);
6. l’esafluoruro di zolfo (SF6).
Per i primi tre gas l’anno di
riferimento per la riduzione è il 1990, mentre per gli altri 3 è il 1995.
Modalità d’azione
Il Protocollo mira a ridurre le immissioni di gas a effetto serra agendo in
più direzioni:
• intervenendo sulle fonti di
emissione con provvedimenti nazionali, attraverso il risparmio energetico,
l’efficienza energetica e la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili;
• attraverso meccanismi di cooperazione internazione;
• contabilizzando le emissioni sequestrate dai pozzi di assorbimento, i sinks,
come le foreste.
Nel Protocollo si parla di emissioni nette, ovvero calcolate come differenza tra
quanto emesso dalle fonti e quanto sequestrato dai sinks.
I settori che saranno interessati dalla riduzione delle emissioni sono:
• la produzione di energia
elettrica;
• la produzione industriale;
• la gestione dei rifiuti;
• l’agricoltura.
Per adesso non sono incluse le emissioni relative al settore del trasporto aereo
e marittimo internazionale.
I paesi aderenti al Protocollo dovranno individuare e applicare le misure di
riduzione necessarie a portare il bilancio di emissioni nette di Mt. CO2Eq entro
i limiti assegnati.
Per raggiungere gli obiettivi fissati il Protocollo individua un periodo di
adempimento, 2008-2012, in cui gli Stati dovranno mantenere le emissioni entro i
limiti assegnati, a scapito di sanzioni, e un periodo di prova 2005-2007,
periodo in cui gli Stati aderenti dovranno dimostrare di avere compiuto
progressi dimostrabili per una riduzione delle emissioni e dovranno sottomettere
un report che lo dimostri al 1 gennaio 2006.
Una volta in vigore, il Protocollo diventa vincolante per tutti i Paesi
firmatari non solo per quelle che lo hanno ratificato.
Al novembre 2003 i Paesi aderenti erano 120, ma la somma delle loro emissioni
ammontava solo al 44% del totale, non sufficiente per l’entrata in vigore.
Solo nel novembre 2004 a seguito della ratifica dell’accordo da parte della
Russia, è stato raggiunto il quorum necessario per rendere il protocollo
legalmente vincolante.
Il 16 febbraio del 2005 il Protocollo di Kyoto è dunque finalmente entrato in
vigore.
Vincoli e misure
Ai sensi dell’accordo raggiunto tra le Parti a Kyoto, la prevista riduzione
aggregata del 5% a livello mondiale delle emissioni di gas serra verrà raggiunta
mediante una serie di impegni differenziati di contenimento e di riduzione delle
emissioni da parte degli Stati membri dell’Annex 1, secondo la lista degli
impegni contenuta nell’Allegato B del PK. Gli impegni di contenimento e di
riduzione previsti dall’Allegato B possono essere raggruppati in tre categorie,
a seconda del tipo di obiettivo da raggiungere entro il 2008-2012, rispetto ai
livelli di emissioni del 1990:
1. stabilizzazione: obiettivo condiviso da Russia, Ucraina e Nuova Zelanda;
2. riduzione: obiettivo condiviso dalla maggior parte dei Paesi dell’Annex 1,
tra cui i Paesi dell’Unione Europea, Svizzera ad economia in transizione8,
USA, Giappone e Canada;
3. aumento controllato: obiettivo condiviso da Norvegia, Australia e Islanda.
UE |
- 8% |
Giappone |
- 6% |
USA |
- 7% |
Canada |
- 6% |
Russia, Ucraina, Nuova Zelanda |
0% |
Norvegia |
+ 1% |
Islanda |
+ 10% |
Australia |
+ 8% |
Sebbene un obiettivo del 5% possa sembrare una riduzione limitata, considerato
che l’attuale andamento delle emissioni dei gas serra dei Paesi Annex 1
porterebbe ad una crescita complessiva delle emissioni del 20%, il limite del 5%
deciso a Kyoto implicherà una riduzione effettiva delle emissioni tendenziali di
circa il 20-25%.
L’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto in maniera congiunta.
L’accordo di ripartizione dell’obiettivo di riduzione globale dell’8% tra i
Paesi membri dell’UE (accordo di Burden Sharing) è stato raggiunto dai Ministri
dell’Ambiente nel Consiglio Ambiente del 17 giugno 1998 e prevede impegni di
riduzione molto diversi per i vari Paesi9.
La base giuridica dell’accordo di Burden Sharing stipulato tra i Paesi dell’UE
va ricercata nell’articolo 4 del PK, che prevede appunto la possibilità per gli
Stati Parti del Protocollo di stipulare accordi per il soddisfacimento
concertato dei loro impegni10.
Vi è da notare che, ai sensi dell’articolo 4, gli Stati membri della UE, una
volta che avranno notificato il loro accordo al Segretariato della Convenzione,
al momento della ratifica del Protocollo, saranno vincolati all’impegno di
riduzione contenuto in tale accordo, anziché a quello generale dell’8% di
riduzione contenuto nell’Allegato B del PK.
Anche in questo caso gli impegni possono essere raggruppati in tre categorie, a
seconda del tipo di obiettivo da raggiungere entro il 2008-2012, rispetto ai
livelli di emissioni del 1990:
• stabilizzazione riduzione:obiettivo condiviso dalla maggior parte dei Paesi
dell’UE, tra cui Lussemburgo, Germania, Danimarca, Austria, Regno Unito, Belgio,
Italia, Olanda;
• aumento controllato: obiettivo: obiettivo a carico di Francia e Finlandia;
• condiviso da Svezia, Irlanda, Spagna, Grecia, Portogallo.
Austria | -13% | Italia | -6,5% |
Belgio | -7,5% | Lussemburgo | -28% |
Danimarca | -21% | Olanda | -6% |
Finlandia | 0% | Portogallo | +27% |
Francia | 0% | Regno Unito | -12,5% |
Germania | -21% | Svezia | +4% |
Grecia | +25% | Spagna | +15% |
Irlanda | +13% | - | - |
Unione Europea | -8% | - | - |
Per la riduzione delle emissioni il Protocollo prevede che i singoli Stati
individuino provvedimenti domestici diretti a formulare, applicare e aggiornare
i programmi nazionali nei settori individuati come prioritari nell’Allegato A.
Per i Paesi Annex 1 le azioni salienti dirette alla riduzione delle emissioni,
sono:
• la promozione dell’efficienza
energetica in tutti i settori;
• lo sviluppo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia e delle
tecnologie innovative per la riduzione delle emissioni;
• la protezione ed estensione delle foreste per l’assorbimento del carbonio;
• la promozione dell’agricoltura sostenibile;
• la limitazione e riduzione delle emissioni di metano provenienti dalle
discariche di rifiuti e da altri settori energetici;
• le misure fiscali dirette disincentivare le emissioni di gas serra;
Oltre al controllo dei rilasci in
atmosfera, ai fini della riduzione delle emissioni di gas serra il Protocollo
tiene conto anche dei cosiddetti assorbimenti di carbonio (sink). Le opere di
gestione dei suoli e di forestazione iniziate dopo il 1990, andranno
contabilizzate ai fini del bilancio emissioni-assorbimento in modo che la
riduzione delle emissioni in atmosfera sia intesa come riduzione delle emissioni
“nette” 11.
Il Protocollo autorizza inoltre i Paesi industrializzati ad avvalersi dei
cosiddetti “meccanismi flessibili” per raggiungere gli obiettivi di riduzione
delle emissioni o di computare i pozzi di assorbimento del carbonio
nell’obiettivo di riduzione.
I meccanismi di flessibilità
Secondo il principio che ogni riduzione delle emissioni è efficace
indipendentemente dal luogo in cui avviene, per facilitare il raggiungimento
degli obblighi il Protocollo di Kyoto ha introdotto degli strumenti
supplementari noti come meccanismi flessibili12.
Si parla di meccanismi flessibili perché rendono più adattabile il processo di
riduzione delle emissioni e anche perché introducono un fattore di flessibilità
economica immettendo progetti a costi inferiori e strumenti legati al mercato.
I tre meccanismi flessibili individuati dal Protocollo sono:
1. JI – Joint Implementation,
Applicazione Congiunta;
2. CDM – Clean Development Mechanism, Meccanismo di Sviluppo Pulito;
3. ET – Emission Trading, Commercio dei diritti di emissione.
In pratica i primi due strumenti permettono a Stati e aziende di effettuare
progetti di riduzione laddove i costi associati sono inferiori, mentre il terzo
permette di acquistare quote di emissioni ad un prezzo inferiore al proprio
costo marginale di riduzione. Passiamo adesso ad analizzare in dettaglio i tre
meccanismi di flessibilità previsti dal Protocollo.
Joint Implementation (JI)
Regolamentate dall’articolo 6 del Protocollo, le JI13
consentono ai Paesi Annex 1 di realizzare in maniera congiunta progetti diretti
alla riduzione delle emissioni. Lo scopo è ridurre il costo complessivo
d’adempimento degli obblighi di Kyoto permettendo l’abbattimento delle emissioni
dove è economicamente più conveniente.
I progetti JI possono agire in diversi ambiti:
• efficienza energetica nella
produzione e distribuzione di energia;
• settore dei trasporti;
• gestione e smaltimento dei rifiuti nel settore forestale.
Attraverso la realizzazione del
progetto, il Paese investitore riceve un trasferimento di ERU14,
corrispondente alla riduzione realizzata nel Paese ospite. La riduzione è
quantificata attraverso una baseline che descrive lo scenario di emissione che
si sarebbe presentato senza l’intervento del progetto. Le ERU sono quindi
calcolate come differenza tra le emissioni stimate nella baseline e quelle
ottenute con il progetto.
L’articolo 6 del Protocollo prevede quattro requisiti per l’ammissione di un
progetto al meccanismo di JI. Tali requisiti sono:
1. l’approvazione del progetto da
parte di tutte le Parti coinvolte;
2. il rispetto della condizione di addizionalità;
3. la conformità alle disposizioni degli articoli 5 e 7 del Protocollo che
dettano norme in materia di stima ed inventario delle emissioni e degli
assorbimenti di gas serra;
4. il rispetto della condizione di supplementarietà.
I requisiti della addizionalità e della supplementarietà meritano tuttavia un
approfondimento. Il requisito della addizionalità pone una condizione alla
utilizzabilità dei progetti di riduzione e di assorbimento per il
soddisfacimento degli obiettivi di riduzione di cui all’Allegato B del PK e
dispone che potranno essere utilizzati a tal fine soltanto i progetti capaci di
portare ad una riduzione delle emissioni o ad un aumento dell’assorbimento di
gas serra i quali risultano addizionali alle riduzioni o assorbimenti che “ si
sarebbero verificati in ogni caso”.
Il PK, comunque non fornisce una chiara interpretazione di questo concetto.
Infatti, l’addizionalità potrebbe essere intesa sia come riferimento alle
emissioni totali del Paese che ospita il progetto, sia con riferimento al solo
settore economico interessato dal progetto.
Il requisito della supplementarietà si riferisce invece, alla esigenza che le
riduzioni di emissioni ottenute grazie ai progetti di JI si affianchino alle
politiche di riduzione realizzate all’interno degli Stati Annex 1, e non invece
che sostituiscano integralmente le misure e le politiche nazionali. E’ chiara
dunque la preoccupazione di evitare che alcuni Stati Annex 1 privilegino
esclusivamente il ricorso ai meccanismi di flessibilità , quali quello di JI, e
finiscano in pratica per porre in essere politiche nazionali contrarie allo
spirito di contenimento e riduzione delle emissioni del PK.
Anche in questo caso riscontriamo alcune questioni non del tutto definite in
quanto se da un lato è chiara la preoccupazione che sta alla base di questa
disposizione, dall’altro non è altrettanto chiaro come debba essere determinata
in termini quantitativi la supplementarietà.
Clean Development Mechanism (CDM)
Il CDM15
costituisce una creazione della Conferenza delle Parti (COP 3) di Kyoto. Il CDM
è introdotto dall’articolo 12 del PK, che non contiene una definizione specifica
di esso. Questo meccanismo può comunque definirsi in linea di massima come un
equivalente del meccanismo di Joint Implementation realizzato tra un Paese Annex
1 e un Paese non- Annex 116.
Lo scopo del CDM è da una parte quello di permettere ai Paesi Annex 1 di
promuovere e finanziare progetti di riduzione delle emissioni di gas serra in
altri Paesi non-Annex 1, per poi utilizzare le riduzioni di emissioni ottenute
al fine di abbattere la propria quota di riduzione delle emissioni di cui al PK,
e dall’altra parte quello di assistere i Paesi non-Annex 1 a raggiungere un
livello di sviluppo sostenibile17.
Attraverso questi progetti, i Paesi Annex 1 ricevono Crediti di emissione, i
cosiddetti CER’s18
che possono utilizzare per raggiungere i propri obiettivi di riduzione oppure
rivendere sul mercato dell’Emission Trading.
Uno dei maggiori problemi relativi al CDM risulta essere quello della
certificazione della riduzione delle emissioni. Il Protocollo demanda la
designazione delle entità operative che dovranno occuparsi della certificazione
della riduzione delle emissioni alla COP-mop19,
che potrà però riunirsi soltanto un anno dopo l’entrata in vigore del PK.
Affinchè un progetto CDM ottenga CER’s i benefici dovranno essere “ reali,
misurabili e di lungo periodo”. Le riduzioni saranno certificate dagli enti
operativi designati in base ai seguenti criteri:
1. partecipazione volontaria di ogni
parte coinvolta;
2. benefici reali, misurabili e a lungo termine in relazione con la mitigazione
dei cambiamenti climatici;
3. riduzione delle emissioni che siano addizionali a quelle che si produrrebbero
in assenza dell’attività certificata.
Inoltre i progetti realizzati a
partire dal 2000 possono ottenere il riconoscimento di crediti di emissione
utilizzabili nel periodo 2008-2012.
Emission Trading (ET)
L’Emission Trading, ovvero il commercio dei diritti di emissione20
riguarda la possibilità di trasferire i propri diritti di emissione o acquistare
i diritti di emissione di un altro Paese. La commercializzazione è uno dei
meccanismi che assieme alla carbon tax, la tassa sulle emissioni di
anidride carbonica, concorre ad ottimizzare il rapporto costi/benefici. L’Emission
Trading può avvenire solo tra i Paesi Annex 1, e comincerà ufficialmente solo a
seguito dell’entrata in vigore del Protocollo21.
Attraverso l’ET dunque, i Paesi che riducono in misura maggiore rispetto agli
obiettivi assegnati possono vendere queste quote di emissione ad altri Paesi con
obblighi di riduzione.
Il 13 ottobre del 2003 è entrata in vigore la direttiva europea sull’Emission
Trading 2003/87/CE, che stabilisce l’apertura del mercato europeo dei permessi
di emissione nel gennaio 2005.
LO SCENARIO SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO IN ITALIA
Il Protocollo di Kyoto in Italia
Come abbiamo già detto, per soddisfare gli impegni stabiliti dal Protocollo
di Kyoto le Parti dovranno procedere alla definizione di politiche nazionali per
il clima e tali politiche dovranno in primo luogo prevedere la realizzazione di
interventi a livello nazionale, aventi come scopo quello di procedere ad una
ridefinizione generale delle attività economiche colpevoli di contribuire al
fenomeno del cambiamento climatico. Passiamo ora ad analizzare lo scenario
italiano susseguente il KP.
La prima fase si suole far cominciare con la Seconda Comunicazione Nazionale
alla Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, approvata nelle sue linee
generali dal CIPE22 in data 3 dicembre 1997, alla vigilia della Conferenza di
Kyoto, che definisce gli indirizzi della politica climatica italiana per i
prossimi anni23.
In questo documento sono descritti vari scenari di riferimento per la
realizzazione di interventi di contenimento e riduzione delle emissioni di gas
serra in grado di portare il nostro Paese in linea con l’obiettivo previsto dal
Protocollo di Kyoto.
Per cercare di assicurare un elevato livello di integrazione dei programmi delle
amministrazioni pubbliche nei settori individuati dalla Seconda Comunicazione, è
stato istituito nel Marzo 1998 un Gruppo di Lavoro Interministeriale allo scopo
di determinare le Linee Guida per le politiche e misure nazionali di riduzione
delle emissioni di gas serra. Le Linee Guida preparate dal Gruppo di Lavoro sono
state infine approvate con delibera CIPE del 19 novembre 1998. Le Linee Guida
approvate dal CIPE intendono costituire il quadro di riferimento per
l’elaborazione da parte delle pubbliche amministrazioni coinvolte dei programmi
necessari ad assicurare il soddisfacimento da parte dell’Italia dell’obiettivo
di riduzione assegnatoli dal KP.
All’interno di queste Linee Guida sono indicate una serie di azioni nazionali
prioritarie per la riduzione delle emissioni, individuate sulla base di tre
principali criteri di riferimento, consistenti nel:
1. valorizzare il potenziale di riduzione e assorbimento delle emissioni di gas
serra connesso ai programmi ed agli interventi necessari per l’adeguamento alle
direttive ed ai regolamenti europei, nonché alle leggi nazionali di protezione
dell’ambiente;
2. orientare l’ammodernamento del sistema energetico ed industriale e delle
infrastrutture per la mobilità ed il trasporto delle merci, secondo il criterio
della migliore efficienza energetica;
3. favorire lo sviluppo delle tecnologie innovative a basse emissioni, con
riferimento alle fonti rinnovabili, al fine di potenziare le capacità produttive
nazionali.
La fase successiva ha inizio, invece con la Legge 1 giugno 2002, n. 12024
“ Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione Quadro delle
Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997 ”, con
la quale il Governo italiano ha ratificato gli impegni presi per il
raggiungimento degli obiettivi definiti nel KP e ripartiti all’interno dell’UE
attraverso l’accordo di Burden Sharing. La legge in questione assume quindi
un’importanza fondamentale, in quanto oltre ad impegnare l’Italia ad adottare le
misure necessarie a ridurre le emissioni di CO2, individua un Piano Nazionale di
riduzione.
Il Piano Nazionale di Riduzione: attuazione del KP
Il Piano Nazionale di riduzione trova fondamento nella legge n. 120 del 1
giugno 2002, la quale prevede la redazione del Piano ad opera dei Ministri
interessati25, nonché
la presentazione al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica
(CIPE) per la delibera.
Il Piano Nazionale è redatto tenendo conto delle misure già in atto finalizzate
(direttamente o indirettamente) alla riduzione delle emissioni26:
• miglioramento dell’efficienza
energetica del sistema economico nazionale;
• maggiore utilizzo della fonti di energia rinnovabili;
• aumento degli assorbimenti di gas serra attraverso attività/cambiamenti di uso
del suolo;
• piena utilizzazione dei meccanismi flessibili istituiti dal Protocollo di
Kyoto (CDM e JI).
La stessa legge definisce che a
scadenza annuale27
vengano identificati i programmi pilota da attuare sia a livello internazionale
che nazionale, per la riduzione delle emissioni. Tra i progetti pilota sono
compresi i progetti destinati all’impiego di piantagioni forestali per
l’assorbimento di carbonio (carbon sink). Obiettivo primario nella valutazione
ed attuazione dei progetti pilota è la definizione di modelli di intervento
efficaci ed efficienti dal punto di vista dei costi di conformità.
In attuazione della legge 120, la delibera n. 123 del CIPE del 19 dicembre 2002
ha approvato il Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas
responsabili dell’effetto serra, che, prendendo atto delle emissioni del 1990 e
dello scenario tendenziale di crescita stabilisce:
• le quote di riduzione per i
singoli settori industriali per il periodo 2008-2012;
• il potenziale massimo di assorbimento di carbonio ottenuto mediante interventi
di afforestazione e riforestazione e mediante interventi di gestione forestale e
dei suoi agricoli, stimato in 10,2 Mt CO2 eq. ;
• il ricorso illimitato ai meccanismi flessibili di JI e CDM anche per le
imprese italiane.
Questo significa che le imprese già nel periodo di prova 2005-2007, dovranno adeguarsi ai vincoli stabiliti dal Protocollo utilizzando le misure previste. In particolare dovranno:
• misurare l’esatta quantità di CO2
emessa in atmosfera per conoscere i propri livelli di emissione;
• rispettare la quota di emissioni assegnata dal Ministro dell’Ambiente;
• ricorrere ad interventi di riduzione/controllo delle emissioni, anche
utilizzando i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo (JI, CDM, ET).
Emissioni in Italia
Il Protocollo fissa per l’Italia un obiettivo di riduzione del 6,5%,
obiettivo piuttosto impegnativo considerato che dal 1990 ad oggi le emissioni di
gas serra nel nostro Paese sono notevolmente aumentate e sono destinate a
crescere ancora (Tabella n. 1).
Tabella 1
|
1990 |
2000 |
2010 |
DA USO DI FONTI ENERGETICHE di cui |
424,9 |
453,3 |
484,1 |
Industrie energetiche |
147,4 |
160,8 |
170,4 |
Termoelettrico |
124,9 |
140 |
150,1 |
raffinazione (consumi diretti) |
18,0 |
17,4 |
19,2 |
Altro |
4,5 |
3,4 |
1,1 |
Industria manifatturiera e costruzioni |
85,5 |
77,9 |
80,2 |
Trasporti |
103,5 |
124,7 |
142,2 |
Civile (incluso terziario e Pubbl. Amm.ne) |
70,2 |
72,1 |
74,1 |
Agricoltura |
9,0 |
9,0 |
9,6 |
Altro /(fughe, militari, aziende di distribuzione) |
9,3 |
7,8 |
7,6 |
|
|
|
|
DA ALTRE FONTI |
96,1 |
94,5 |
95,6 |
Processi Industriali (industria mineraria e chimica) |
35,9 |
33,9 |
30,4 |
Agricoltura |
43,4 |
42,6 |
41,0 |
Rifiuti |
13,7 |
14,2 |
7,5 |
Altro (solventi, fluorati) |
3,1 |
3,8 |
16,7 |
|
|
|
|
TOTALE |
521,0 |
546,8 |
579,8 |
Senza alcun intervento di riduzione, quindi, nel 2010 avremo un livello di
emissione superiore di 92,7 Mt. CO2 eq.
I limiti di emissione per settore sono stabiliti sulla base di uno scenario di
riferimento costruito a partire dai valori di emissione dei Gas serra per l’anno
1990 e per l’anno 2000.
A questo primo scenario “storico”, segue la definizione di uno scenario
“tendenziale” al 2010, elaborato assumendo una crescita media del PIL pari al 2%
e tenendo conto delle misure di riduzione già avviate o comunque decise.
Lo scenario tendenziale è successivamente corretto (- 51,8 Mt. CO2 eq.) per
contabilizzare le misure già individuate al 30 giugno 2002, “sulla base di
provvedimenti, programmi ed iniziative nei diversi settori da attivare entro il
periodo di validità del Piano stesso”. A seguito della correzione si delinea lo
“scenario di riferimento” al 2010, in base al quale è calcolata la quota di
emissioni necessaria di ulteriori politiche e misure di riduzione , per il
raggiungimento dell’obiettivo.
La tabella n. 2 che segue28
riassume gli scenari di emissione e l’obiettivo di riduzione al 2008-2012
stabilito dalla legge 120/2002, come risultante delle fasi precedenti.
Tabella 229
Scenario tendenziale al 2010 | 579,7 |
Scenario di riferimento al 2010 | 528,1 |
Obiettivo di emissione | 487,1 |
Ulteriore riduzione necessaria per raggiungere l’obiettivo | 41,0 |
Per pervenire alla definizione dei livelli massimi di emissione, il Piano tiene
ulteriormente conto del potenziale nazionale massimo di assorbimento di carbonio
ottenibile attraverso interventi di afforestazione, riforestazione, gestione
forestale, gestione dei suoli agricoli e tiene conto di ulteriori misure di
riduzione nei singoli settori e di ulteriori crediti di carbonio ottenibili
attraverso progetti nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM30.
Le valutazioni precedenti portano alla definizione dei livelli massimi di
emissioni di Gas serra ammessi per singoli settori, per il periodo 2008-2012,
come riportabili nella tabella n. 331.
Tabella 3
|
Emissioni al 1990 |
Livelli max di emissioni GHG 2008-2012 |
USI ENERGETICI, di cui |
424,9 |
444,5 |
Industrie energetiche |
147,4 |
144,4 |
Termoelettrico |
124,9 |
124,1 |
Raffinazione (consumi diretti) |
18,0 |
19,2 |
Altro |
4,5 |
1,1 |
Industria |
85,5 |
80,2 |
Trasporti |
103,5 |
134,7 |
Civile (inclusi terziario e P.A.) |
70,2 |
68,0 |
Agricoltura |
9,0 |
9,6 |
Altro (fufhe, militari, aziende di distribuzione) |
9,3 |
7,6 |
USI NON ENERGETICI, di cui: |
96,1 |
95,6 |
Processi industriali (industria mineraria, chimica) |
35,9 |
30,4 |
Agricoltura |
43,4 |
41,0 |
Rifiuti |
13,7 |
7,5 |
Altro (solventi, fluorati) |
3,1 |
16,7 |
TOTALE |
521,0 |
540,1 |
I livelli massimi di emissione sono assegnati tenendo conto del “ least-coast
approach “, ovvero valutando la possibilità di raggiungere l’obiettivo al minor
costo complessivo del sistema. Secondo tale approccio, le riduzioni maggiori
sono richieste a settori per i quali gli abbattimenti siano economicamente e
tecnologicamente più vantaggiosi rispetto ad altri settori.
Settori di riduzione
Nella legge 120 del giugno 2002 e nella relativa Delibera CIPE del dicembre
2002 vengono individuate le misure di riduzione delle emissioni per i settori
industriali coperti dal Protocollo di Kyoto.
Le misure di riduzione individuate al 30 giugno 2002 e incluse nello scenario di
riferimento sono riportate nella seguente tabella:
Tabella 4
|
Riduzione (Mt. CO2/anno) |
Industria elettrica |
26,0 |
Espansione CC per 3200 MW |
8,9 |
Espansione capacità import per 2300 MW |
10,6 |
Ulteriore crescita rinnovabili per 2800 MW |
6,5 |
Civile |
6,3 |
Decreti efficienza usi finali |
6,3 |
Trasporti |
7,5 |
Autobus e veicoli privati con carburanti a minor densità di carbonio (Gpl, metano) |
1,5 |
Sistemi di
ottimizzazione e collettivizzazione del trasporto privato |
2,1 |
Sviluppo infrastrutture nazionali e incentivazione del trasporto combinato su rotaia e del cabotaggio |
3,9 |
Totale misure nazionali |
39,8 |
Crediti di carbonio da JI e CDM |
12 |
TOTALE MISURE |
51,8 |
Con le misure previste, lo scenario di riferimento si attesterebbe su valori di
emissione pari a 528,1 Mt. CO2 eq. Rispetto all’obiettivo nazionale di 487,1 Mt.
CO2 eq. esiste ancora un divario di circa 41 Mt. CO2 eq. che rende, quindi,
necessaria l’individuazione di ulteriori strategie.
In generale queste misure sono sostenute da provvedimenti32 e da meccanismi di
finanziamento. Questi ultimi prevedono:
• utilizzazione del “ Fondo per la
riduzione delle emissioni in atmosfera e per la promozione dell’efficienza
energetica e delle fonti sostenibili di energia “ ;
• utilizzazione delle entrate derivanti dall’applicazione del disegno di legge
di riforma del settore energetico presentato dal Ministro delle Attività
produttive nel luglio 2002.
All’interno del Piano Nazionale
inoltre è auspicato l’uso dei JI e CDM sulla base di un importante
considerazione: interventi tardivi rischierebbero di favorire altri Paesi,
perdendo buone occasioni di realizzazione di progetti a costi inferiori.
In conclusione possiamo dire che il Piano Nazionale si articola in quattro fasi:
1. accertamento e rendicontazione
delle misure già adottate che concorrono al raggiungimento dell’obiettivo;
2. definizione di ulteriori misure possibili a livello nazionale ed
internazionale;
3. valutazione degli investimenti necessari e dei costi netti;
4. selezione delle misure da adottare.
La Direttiva 2003/87/CE
La strategia europea finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo
individuato da Protocollo di Kyoto è descritta in due documenti adottati dalla
Commissione europea, il Libro Verde e la Direttiva comunitaria 2003/87. Il Libro
Verde del marzo 2000, prevedendo l’istituzione di un sistema di scambio dei
diritti di emissione all’interno dell’UE33,
si propone di interrogare i Paesi interessati sulle modalità di applicazione
dello stesso.
Il campo di applicazione definito dal Libro Verde è rappresentato dal settore
energetico e dai grandi impianti industriali, focalizzando quindi l’attenzione
iniziale solo sulle fonti maggiori di emissione, ovvero sulle grandi fonti
puntuali.
Il meccanismo ipotizzato è un sistema di “ Cap and Trade “ sulle emissioni
dirette. In pratica, viene fissato un tetto (cap) alle emissioni totali di tutti
i paesi partecipanti attraverso l’allocazione di quote di emissione per un
determinato ammontare in un determinato periodo di tempo. Ciascuna quota
consiste nel diritto ad emettere 1 tonnellata di CO2.
Alla fine di ogni anno ciascun partecipante deve restituire un numero di quote
pari alle emissioni effettuate nell’anno. Qualora le emissioni superino
l’ammontare delle quote assegnate, l’impresa potrà scegliere se dar vita a piani
e programmi per ridurre le proprie emissioni internamente o acquistare sul
mercato le restanti quote necessarie. Viceversa nel caso in cui vi sia un
surplus di quote, l’impresa potrà decidere di venderle o accantonarle per gli
anni futuri. Come in tutti i mercati il prezzo delle quote sarà dato dalla
domanda e dalla offerta e il suo confronto con il costo di riduzione interna
sarà la risposta se ridurre o comprare.
La Direttiva 2003/87/CE34
completa gli indirizzi della Commissione introdotti dal Libro Verde, definendo
le caratteristiche di un sistema di scambio delle quote di emissione (Emission
Trading) dei gas serra nell’UE, al fine di ridurne le emissioni attraverso un
sistema economicamente efficiente ed efficace, ovvero minimizzando i costi di
conformità35 connessi
all’applicazione del Protocollo di Kyoto. Definisce il grado di copertura del
sistema, limitando il campo di applicazione alle sole grandi emissioni puntuali36
(Annex 1), lasciando ai singoli Stati, la possibilità di estendere il campo di
applicazione ad impianti a capacità inferiore rispetto ai limiti inizialmente
definiti (a partire dal 2005) ed ad attività inizialmente non comprese (dal
2008), purchè l’estensione sia approvata dalla Commissione. Il sistema
comunitario proposto dalla Direttiva riguarda, le emissioni di tutti i gas a
effetto serra contemplati dal Protocollo di Kyoto, quali figurano dall’Allegato
II37. Tuttavia in un
primo tempo saranno disciplinate unicamente le emissioni di biossido di carbonio
provenienti dalle attività indicate nell’Allegato I (14). Questo perché lo
scambio delle quote di emissioni presuppone un controllo sufficientemente
accurato delle stesse, ma le incertezze sotto questo profilo sono ancora troppo
grandi per i gas a effetto serra diversi dal biossido di carbonio.
Un altro aspetto importante della Direttiva è rappresentato dal fatto che ogni
impianto richieda all’autorità competente del suo Stato membro un’autorizzazione
per l’emissione di gas serra. La domanda di autorizzazione dovrà contenere la
descrizione dell’impianto e delle sue attività, delle materie prime e secondarie
il cui impiego produce emissioni di gas serra, delle fonti di emissione e delle
misure previste per controllarle. Le autorizzazioni potranno essere concesse nel
caso in cui i richiedenti dimostrino di essere in grado di sottoporre a
monitoraggio e notificare le emissioni dei propri impianti38.
Sulla base delle autorizzazioni, gli Stati membri assegneranno ogni anno a
ciascun impianto quote di emissioni che dovranno essere restituite entro il 30
aprile dell’anno successivo in numero pari alle emissioni autorizzate nel
precedente anno civile39.
Nella Direttiva è previsto che nel periodo dal 2005 al 2007, l’assegnazione
delle quote di emissioni agli impianti da parte degli Stati membri avvenga a
titolo gratuito per il 95% delle quote, lasciando ai singoli Stati la
possibilità di scegliere il meccanismo dell’asta per il restante 5%. Prima del
30 giugno 2006 la Commissione, farà il punto sull’ esperienza acquisite
nell’assegnazione delle quote per il periodo 2005-2007 allo scopo di determinare
quale sia il più adeguato metodo armonizzato per l’avvenire. Inoltre,
nell’assegnazione delle quote di emissioni si dovranno osservare criteri validi
per tutta l’UE, individuati nell’Allegato III.
Secondo gli accordi di Marrakech, per partecipare allo scambio internazionale,
una Parte deve:
1. essere una parte del Protocollo di Kyoto;
2. avere una quota assegnata di emissioni;
3. avere impostato un sistema nazionale di stima delle emissioni ;
4. avere predisposto un registro nazionale per contabilizzare i movimenti delle
quote;
5. elaborare annualmente l’inventario delle emissioni.
La Direttiva integra tali condizioni con altri requisiti operativi che devono
essere soddisfatti dagli Stati Membri per aderire e dare piena attuazione al
sistema internazionale di scambi. Pur definendo i criteri ed i principi che
devono ispirare i Paesi nell’attuazione dei requisiti richiesti, la Commissione
lascia un certo grado di libertà circa le modalità con cui gli stessi requisiti
possono essere soddisfatti.
I requisiti operativi riguardano in particolare l’obbligo di adottare un Piano
Nazionale di assegnazione delle quote globali di emissione per i singoli settori
coinvolti e di sottoporre tale Piano per approvazione alla Commissione, la quale
si riserva il poter di respingere un Piano Nazionale che non ottemperi ai
criteri stabiliti40.
La Direttiva 2004/101/CE
Con la Direttiva 2004/101/CE sono state apportate alcune modifiche tra cui
quella di maggior rilievo è senza dubbio l’apertura del sistema di scambio dei
permessi di emissione agli altri meccanismi flessibili previsti dal Protocollo
di Kyoto (CDM e JI).
In base alla direttiva 2004/101/CE, i gestori degli impianti nel sistema
comunitario di scambio delle quote di emissione, possono utilizzare le riduzioni
delle emissioni certificate (CER) a partire dal 2005 e le unità di riduzione
delle emissioni (ERU) a partire dal 2008 fino ad una percentuale della quota di
emissioni assegnata ad ogni impianto, da specificarsi da ciascun Stato membro
nel suo piano nazionale di assegnazione per tale periodo41.
L’utilizzazione avverrà mediante il rilascio e l’immediata restituzione da parte
dello Stato membro, di una quota di emissioni in cambio di una CER o di una ERU
detenuta dal gestore interessato nel registro nazionale del suo Stato membro.
Nella direttiva in questione, il regolamento della Commissione relativo ad un
sistema standardizzato e sicuro di registri, da adottare a norma dell’art. 19
della direttiva 2003/87/CE, deve essere applicato anche all’utilizzazione delle
CER nel periodo 2005-2007 e nei periodi successivi, e all’utilizzazione delle
ERU nel periodo 2008-2012 e nei periodi successivi.
Ciascuno Stato membro potrà decidere sul limite di utilizzazione delle CER e
delle ERU derivanti da attività di progetto, tenendo conto però delle
disposizioni del Protocollo di Kyoto e degli accordi di Marrakech42.
La direttiva prevede anche dei limiti qualitativi consistenti nell’escludere
progetti di JI e CDM per i settori del nucleare, di riforestazione e cambio
d’uso del territorio43.
Per evitare la doppia contabilizzazione , l’articolo 11 ter della direttiva
2004/101/CE prevede che fino al 31 dicembre 2012 per le attività di progetto JI
e CDM che riducono o limitano indirettamente le emissioni di impianti rientranti
nel campo di applicazione della stessa, possono essere rilasciate ERU e CER
soltanto se un numero corrispondente di quote di emissioni è cancellato dal
registro nazionale dello Stato membro di origine delle CER o delle ERU.
Un ulteriore modifica apportata alla direttiva 2003/87/CE riguarda l’accesso
alle informazioni in base al quale il “nuovo” articolo 17 stabilisce che le
decisioni riguardanti l’assegnazione delle quote di emissioni, nonché le
informazioni sulle attività di progetto intraprese dagli Stati membri vengano
messe a disposizione del pubblico ai sensi della direttiva 2003/4/CE.
Ai sensi della convenzione UNFCCC, del Protocollo di Kyoto e di ogni successiva
decisione, è previsto che la Commissione e gli Stati membri, si impegnino a
sostenere attività volte a creare capacità nei paesi in via di sviluppo e nei
paesi ad economia in transizione, affinché questi possano sfruttare appieno i
meccanismi di JI e CDM44.
L’ultima variazione riguarda invece l’Allegato III della direttiva 2003/87/CE al
quale viene aggiunto un ulteriore criterio da rispettare per i piani nazionali
di assegnazione. E’ necessario infatti che il piano specifichi l’importo massimo
di CER e di ERU che può essere utilizzato dai gestori nell’ambito del sistema
comunitario e inteso come percentuale delle quote di emissioni assegnate a
ciascun impianto.
In definitiva possiamo concludere dicendo che, mettendo in relazione i
meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto con il sistema comunitario, si
salvaguarda al contempo l’integrità ambientale di quest’ultimo e si consente di
utilizzare i crediti di emissione prodotti dalle attività dei progetti
ammissibili ai sensi dell’art. 6 e 12 del Protocollo per ottemperare agli
obblighi degli Stati membri. Ciò consentirà di disporre, all’interno del sistema
comunitario, di un maggior numero di soluzioni diverse a basso costo per
garantire la conformità agli obblighi, con la conseguente riduzione di costi
complessivi da sostenere per conformarsi al Protocollo di Kyoto; al contempo
verrà incrementata la liquidità del mercato comunitario delle quote di emissioni
dei gas serra. Incentivando la domanda di crediti JI le imprese comunitarie
investiranno nello sviluppo e nel trasferimento di know how e di
tecnologie avanzate che rispettino l’ambiente.
L’ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2003/87/CE NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
Il Piano Nazionale di Assegnazione
In attuazione della Direttiva 2003/87/CE gli Stati membri sono obbligati
alla redazione di un Piano Nazionale di Assegnazione relativo ad ogni periodo
definito nella Direttiva stessa45,
e basato su criteri oggettivi e trasparenti, definiti dalla stessa Commissione
(Allegato III).
Secondo l’Allegato III, il Piano dovrebbe:
1. essere coerente con gli impegni
presi rispetto al Protocollo di Kyoto;
2. tener conto dei progressi già realizzati in ciascuna attività;
3. tener conto del potenziale tecnologico di riduzione delle emissioni esistente
in ciascuna attività ;
4. evitare discriminazioni tra settori ed imprese;
5. prevedere le modalità di ingresso di nuovi entranti;
6. tener conto delle early action46.
I piani nazionali di assegnazione determinano la quantità totale di emissioni di
CO2 che gli Stati membri assegnano alle proprie imprese e che queste possono
vendere o acquistare. Il fine è che gli Stati limitino le emissioni di CO2 da
parte dei settori energetico e industriale attraverso l’assegnazione di quote di
emissione, provocando in tal modo scarsità si quote, in modo che possa
svilupparsi un mercato funzionante e che le emissioni complessive siano ridotte.
L’Italia ha presentato il suo piano nazionale di assegnazione alla Commissione
il 24 luglio 200447.
Il piano si suddivide in cinque capitoli e in 3 allegati che hanno il compito di
illustrare in maggior dettaglio le scelte fatte, nonché la coerenza delle stesse
con i criteri forniti nell’Allegato III della direttiva 2003/87/CE. La prima
parte individua i criteri per il recepimento della direttiva ET sottolineando
che gli stessi sono stati elaborati tenendo conto dei principi di riferimento
adottati per il piano nazionale di riduzione. I criteri su cui si basa il piano
sono i seguenti:
• l’assegnazione dei permessi di
emissione dovrà riconoscere che il sistema industriale italiano ha già
realizzato negli ultimi venti anni interventi strutturali per aumentare
l’efficienza energetica;
• dovranno essere salvaguardate la competitività delle imprese italiane e la
sicurezza energetica dell’Italia, in particolare per quanto riguarda la priorità
nazionale rappresentata dall’esigenza di colmare il gap tra domanda ed offerta
interna di energia elettrica;
• le imprese italiane potranno utilizzare, al fine di rispettare il proprio
budget, i crediti di emissione e di carbonio generati attraverso progetti JI e
CDM.
La seconda parte del piano individua la quantità totale provvisoria di emissioni
assegnata per il periodo 2005-2007.
|
2005 |
2006 |
2007 |
Totale delle quote da assegnare48 |
239,96 |
240,57 |
241,64 |
Questa quantità è data dalla somma delle assegnazioni di quote ai singoli
settori, che sono ottenute applicando alle emissioni di CO2 dell’anno 2000, i
tassi di incremento settoriali previsti per il 2010, opportunamente rivisti.
La terza parte invece riporta le emissioni di CO2 per le attività regolamentate
dalla direttiva, per l’anno 2000 e le relative emissioni per l’anno 2010.
Naturalmente anche per quanto riguarda questi dati vi è solo un’approssimazione
tenendo conto del fatto che saranno apportate revisioni sulla base
dell’approccio di tipo “bottom up”
49.
Il quarto capitolo del piano stabilisce che ai fini dell’assegnazione delle
quote per impianto, lo stesso viene classificato all’interno di una delle
attività per le quali sono state stabilite le assegnazioni. Le attività di
riferimento contenute sono:
• Attività energetiche – impianti
termoelettrici cogenerativi e non cogenerativi;
• Attività energetiche – altri impianti di combustione;
• Attività energetiche – raffinazione;
• Produzione e trasformazione dei metalli ferrosi;
• Industria dei prodotti minerali – cemento;
• Industria dei prodotti minerali – calce;
• Industria dei prodotti minerali – vetro;
• Industria dei prodotti minerali – prodotti ceramici;
• Industria dei prodotti minerali – laterizi;
• Altre attività – produzione pasta per carta/carta e cartoni.
L’assegnazione iniziale di quote agli impianti soggetti alla Direttiva è
gratuita. Nel quarto capitolo vengono anche definite le modalità con cui le
assegnazioni verranno effettuate a livello d’impianto distinguendo tra impianti
nuovi entranti e impianti esistenti. In base alla direttiva per nuovo entrante
si intende “un impianto che esercita una o più attività indicate nell’Allegato I
e che ha ottenuto un’autorizzazione ad emettere gas a effetto serra, a seguito
della notifica alla Commissione del piano nazionale di assegnazione”.
I nuovi entranti rivestono un ruolo importante nell’ambito dei mercati dei
settori di riferimento in quanto, assicurando il mantenimento di un ambiente
competitivo, ottimizzano l’efficienza degli assetti produttivi minimizzando i
costi di produzione. Tenuto conto della definizione contenuta nella direttiva,
il piano individua le seguenti tipologie di nuovo entrante:
1. nuovo impianto – caso in cui
l’impianto viene costituito ex-novo;
2. ripotenziamento – caso in cui sono state apportate modifiche sostanziali alla
natura di un impianto pre-esistente;
3. riavvii di attività esistente – caso in cui l’impianto ha sospeso le proprie
attività per più di un anno solare e le ha riavviate senza modificare in maniera
sostanziale la natura dell’impianto.
In funzione di queste tipologie, gli impianti riceveranno le quote secondo una delle seguenti modalità:
1. assegnazione gratuita di quote
tratte da una riserva settoriale50;
2. trasferimento delle quote già assegnate ad un impianto esistente in fase di
chiusura e caratterizzato da produzioni analoghe per natura e quantità.
Unica eccezione a queste due
modalità, è rappresentata dagli impianti termoelettrici cogenerativi e non
cogenerativi e dagli altri impianti di combustione che producono elettricità,
per i quali il metodo di assegnazione prevede una componente di modifica di
regime ed una componente fondamentale previsiva.
Tale scelta è stata determinata sia dall’esigenza di garantire la sicurezza
degli approvvigionamenti energetici, che dalla necessità di tener conto del
radicale processo di trasformazione del settore elettrico e delle sue
ripercussioni sul sistema energetico nazionale.
Il caso degli impianti esistenti risulta ben diverso invece, in quanto il piano
stabilisce che la quota di assegnazione complessiva nell’ambito delle attività
di riferimento deve essere calcolata come la differenza tra le quote assegnate
all’attività di riferimento stessa, in un determinato anno “t” per tutti gli
impianti51 e le quote
assegnate all’attività di riferimento, nel medesimo anno “t” per i nuovi
entranti. Successivamente per calcolare le quote da assegnare ad ogni singolo
impianto, si effettua il prodotto tra le quote assegnate all’attività di
riferimento nell’anno “t” per gli impianti esistenti e, la quota parte relativa
all’impianto appartenente al settore d’attività di riferimento. La quota parte a
sua volta viene determinata facendo riferimento al livello di attività
dell’impianto il quale tiene conto di due variabili: il parametro descrittivo ed
il periodo storico di riferimento52
sulla base del quale viene quantificato tale parametro. All’interno del
parametro descrittivo il piano individua tre diverse possibilità:
1. produzione storica53;
2. lavorato storico54;
3. emissione storica55.
Anche nel caso degli impianti esistenti, l’unica eccezione al metodo di
assegnazione storico a alla assegnazione di quote basata sul criterio della
quota parte, è la categoria degli impianti termoelettrici cogenerativi e non, e
degli impianti di combustione che producono elettricità.
Infine il quinto capitolo oltre a precisare il divieto di rilascio di quote in
sostituzione di quelle rilasciate nel periodo 2005-2007 e non restituite,
prevede la possibilità in base a quanto indicato nell’art. 28 della direttiva
2003/87/CE di costituire uno o più raggruppamenti di gestori degli impianti di
produzione di energia elettrica56.
L’integrazione al Piano nazionale di assegnazione
L’integrazione al piano nazionale di assegnazione è finalizzata ad
assicurare la coerenza dello stesso con il criterio 10 dell’Allegato III della
direttiva ET, che richiede che il piano contenga l’elenco degli impianti
regolati nella direttiva con i valori delle quote che il Governo intende
assegnare a ciascun impianto.
Non è stato possibile inserire tale elenco nel PNA in quanto al momento della
trasmissione dello stesso alla Commissione Europea, la direttiva non era ancora
stata recepita nell’ordinamento nazionale e pertanto non poteva essere attivato
il censimento degli impianti e la raccolta delle informazioni necessarie per
l’assegnazione delle quote di emissioni di CO2 ai singoli impianti. La
motivazione di questo ritardo risiede nel fatto che la direttiva 2003/87/CE è
stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea il 25 ottobre
2003, quando mancava ormai solo una settimana all’approvazione della legge
Comunitaria per il 200357.
Questo naturalmente ha impedito l’inserimento della direttiva all’interno della
legge comunitaria, che così è stata recepita nel nostro ordinamento solo a
partire dal 2004. Considerando i vincoli temporali imposti dalla direttiva,
questa situazione di ritardo ha indotto l’Italia ad approvare il 12 novembre
2004 il decreto legge 273/200458,
finalizzato ad attivare le procedure necessarie per autorizzare gli impianti ad
emettere gas serra e acquisire le informazioni necessarie per il rilascio delle
quote di emissioni. La legge 316/2004 stabilisce l’obbligo per i gestori degli
impianti che ricadono nel campo d’applicazione della direttiva ET di
trasmettere:
la richiesta di autorizzazione ad
emettere gas serra entro il 6 dicembre 2004;
le informazioni necessarie per procedere all’assegnazione delle quote di
emissione di CO2 entro il 30 dicembre 2004.
A seguito della elaborazione delle informazioni raccolte si è proceduto quindi
a:
• aggiornare i valori delle tabelle
del PNA, per le quali era stata prevista la revisione a seguito della raccolta
dati a livello di impianti;
• elaborare l’elenco degli impianti con le relative quote di emissioni che il
Governo intende assegnare a ciascuno di essi per il periodo 2005-2007.
L’integrazione al PNA è stata dunque presentata alla Commissione Europea il 24
febbraio 2005. Uno dei cambiamenti più importanti è senza dubbio la revisione
del numero totale di quote da assegnare.
|
2005 |
2006 |
2007 |
Totale delle quote da assegnare59 |
251,91 |
253,98 |
260,52 |
Questi dati saranno soggetti a un’ulteriore variazione alla luce dell’impegno
assunto da parte del Governo italiano di ridurre il numero totale di quote da
assegnare di 23 milioni di tonnellate di CO2 , pari al 9% delle quote previste
inizialmente.
L’integrazione inoltre contiene finalmente l’elenco degli impianti e le relative
quote di emissione da assegnare a ciascuno di essi. Nel documento in particolare
si fa riferimento al trattamento delle attività energetiche asservite ad un
processo produttivo ed al trattamento dei gas derivati da acciaieria.
Nel primo caso si specifica che un’attività energetica viene considerata
asservita ad un processo produttivo quando più del 51% dell’energia prodotta
negli ultimi tre anni è stata utilizzata nell’ambito del processo produttivo
stesso. Nel caso di attività energetiche asservite ad un processo produttivo
specifico, invece, le stesse rientrano nell’ambito della categoria di
appartenenza del processo produttivo e sono regolate di conseguenza60.
Per quanto riguarda i gas derivati da acciaieria, le quote da assegnare per le
emissioni di gas residuo sono attribuite all’impianto che lo ha generato. Per il
settore della siderurgia inoltre, il metodo di assegnazione storica potrà essere
integrato relativamente all’utilizzo del gas residuo a causa dell’elevato
livello d’integrazione tra impianti di produzione ed impianti di utilizzo di gas
derivati. Un limite dell’integrazione al PNA è rappresentato in questo caso dal
fatto che lo stesso pur determinando l’entità delle quote da assegnare per le
emissioni di gas residuo, non le attribuisce né al produttore, né al
all’utilizzatore di tale gas.
Scambio delle quote di emissione: approvato parzialmente il PNA
Il 25 maggio 2005 la Commissione Europea ha emanato la sua decisione
relativa al PNA delle quote di emissione dei gas a effetto serra presentato
dall’Italia nel febbraio del medesimo anno.
La Commissione approva il PNA in maniera parziale in quanto all’interno del
documento riscontra la presenza di due elementi incompatibili con il criterio n.
10 dell’Allegato III della direttiva 2003/87/CE. I due elementi sono i seguenti:
• mancata indicazione, nell’elenco
degli impianti, delle quantità di quote da assegnare ai singoli impianti per la
produzione di energia elettrica da gas residui di acciaieria;
• intenzione di consentire agli impianti esistenti soggetti ad aggiornamento
delle autorizzazioni di attingere quote dalla riserva per i nuovi entranti per
la parte di impianto modificato già esistente prima dell’aggiornamento
dell’autorizzazione.
La Commissione inoltre nella sua decisione dispone che non verranno sollevate obiezioni al PNA a condizione che ad esso siano apportate le modifiche relative ai punti suddetti. La decisione prevede anche che il PNA dovrà necessariamente essere ridotto di 23 milioni di tonnellate di CO2. In definitiva il piano potrà essere modificato dall’ Italia senza l’accordo preventivo della Commissione se e solo se la modifica consiste nella rettifica delle quote assegnate ai singoli impianti dovuta alla migliore qualità dei dati disponibili, purchè non sia superata la quantità totale da assegnare agli impianti elencati nel piano.
CONCLUSIONI
Come già detto, la Commissione Europea il 25 maggio 2005 ha approvato il piano
dell’Italia che assegna le quote di emissione di CO2 agli impianti italiani per
il periodo di scambio 2005-2007.
La decisione della Commissione sarà particolarmente importante per il nostro
Paese, in quanto consentirà finalmente alle imprese italiane di partecipare al
sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE permettendo così di ridurre
le emissioni di gas serra nel settore di produzione dell’energia elettrica e
degli altri impianti industriali ad alto consumo energetico al minor costo
economico.
Attualmente, al fine di procedere all’integrazione del PNA secondo quanto
stabilito dal criterio n. 10 dell’Allegato III della direttiva ET, il Governo
italiano ha potuto usufruire delle informazioni trasmesse dai gestori di 1210
impianti su un totale di 1281 impianti autorizzati ad emettere gas ad effetto
serra. Per i restanti 71 impianti sono al momento ancora in corso approfonditi
controlli di qualità dei dati trasmessi e pertanto nel documento non è stato
ancora possibile indicare i valori delle quote che il Governo intende assegnare
a ciascuno di essi.
L’Italia dovrà quindi comunicare le ulteriori informazioni sulle quote da
assegnare a impianti specifici e in particolar modo dovrà rinunciare ad una
disposizione riguardante l’adeguamento a posteriori del piano. Questo vuol dire
che l’Italia dovrà rinunciare alla possibilità di intervenire sul mercato in una
fase successiva all’assegnazione ed all’opportunità di ridistribuire le quote
tra le imprese partecipanti durante il periodo di scambio 2005-2007.
In conclusione possiamo dire che ormai le imprese italiane sono pronte a
partecipare a pieno titolo allo scambio delle emissioni, ma necessitano della
presentazione definitiva da parte del Governo italiano degli ultimi elementi del
PNA. Quest’ultimo, in fase di elaborazione, è atteso in un futuro imminente.
BIBLIOGRAFIA
BAKER & MCKEINZE E ECOSECURITIES, Emission Trading Market Research Report:
Italy, London, 2001.
CERAVITA, Diritto dell’Ambiente, Bologna, 2001.
CELLERINO, Oltre la Tassazione Ambientale – Nuovi strumenti per il controllo
dell’inquinamento, Bologna, 1993, 7 ss.
COSTONIS, Development Rights Transfer: An Exploratory Essay, in Yale Law
Journal, 1973, vol. 83, 75.
EUROPEAN COMMISSION, The EU Emission Trading scheme: How to develop a
National Allocation Plan, Non paper in 2nd meeting of Working 3 Monitoring
Mechanism Committee, Bruxelles, aprile 1, 2003.
GAMBARO, SACCO, Sistemi Giuridici Comparati,Torino, 2002, 25 ss.
ISTITUTO PER L’AMBIENTE, Nuove prospettive del Protocollo di Kyoto:
meccanismi attuativi e impatto sulla competitività, Milano, 2002.
HOBLEY, Emission Trading in the United Kingdom: an overview, in
Environmental Liability 2001, vol. 9, 3-10.
MONTINI, Le politiche climatiche dopo Kyoto: interventi a livello nazionale e
ricorso a meccanismi di flessibilità, in Riv. Giur. Ambiente, Milano,
Giuffrè, 1999, n. 1, pp. 133-148.
OECD, Towards International emission trading: design implication for linkage
– information paper, ottobre 2002.
POZZO, La Nuova Direttiva sullo scambio di quote di emissione – La prima
attuazione Europea dei meccanismi previsti dal Protocollo di Kyoto, Milano,
Giuffrè 2003.
SITI WEB
Canada www.climatechange.gc.ca
Climate Trust www.climatetrust.org
Italia www.minambiente.it
International Emissions Trading Association www.ieta.org
Italia www.dnv.it
Italia www.osservatoriokyoto.it
Italia www.kyotoclub.it
Joint Implementation for you www.ji4u.com/50006.xml
Partnership for Climate Action www.pca-online.org
UNFCCC www.unfccc.int
Unione Europea www.europa.eu.it
RIFERIMENTI NORMATIVI
Legge 1 giugno 2002, n. 120, Ratifica ed esecuzione del Protocollo di
Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici,
fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997.
CIPE, Revisione delle Linee Guida per le politiche e misure nazionali di
riduzione delle emissioni dei gas serra, Roma, 19 dicembre 2002.
MINISTERO DELL’AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO, Ministero dell’Economia e
Finanze, Piano nazionale per la riduzione delle emissioni dei gas responsabili
dell’effetto serra: 2003-2010, Roma, dicembre 2002.
Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003
che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a
effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio.
Direttiva 2004/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004
recante modifica della direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo
scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, riguardo
ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto.
Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003
che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a
effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio,
Piano Nazionale d’Assegnazione, 24 luglio 2004.
Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003
che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a
effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio,
Integrazione al Piano Nazionale di Assegnazione dell’Italia, 24 febbraio 2005.
COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Decisione della Commissione relativa al
piano nazionale di assegnazione delle quote di emissione dei gas a effetto serra
notificato dall’Italia a norma della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, 25 maggio 2005.
* L’autore
desidera inoltre ringraziare per i preziosi consigli il prof. Massimiliano
Montini, restando naturalmente l’unico responsabile per eventuali errori od
omissioni. Rif. cosimo-f@libero.it.
1 I gas serra sono: anidride carbonica (CO2); metano (CH4);
protossido di azoto (N2O); idrofluorocarburi (HFC); perfluorocarburi (PFC);
esafluoruro di zolfo(SF6).
2 La UNFCCC firmata a Rio de Janeiro nel 1992, è in vigore dal
21 marzo 1994 (per l’Italia dal 14 luglio 1994).
3 La lista dei paesi ANNEX 1 allegata alla UNFCCC è la seguente:
Australia, Austria, Belarus, Belgium, Bulgaria, Canada, Croatia, Czech Repubblic,
Denmark, European Community, Estonia, Finland, France, Germany, Greece, Hungary,
Iceland, Ireland, Italy, Japan, Latvia, Liechtenstein, Lithuania, Luxembourg,
Monaco, Netherlands, New Zeland, Norway, Poland, Portugal, Romania, Russian
Federation, Slovakia, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland, Turkey, Uckraine,
United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, United States of America.
4 Tutti i paesi non inclusi nell’ Annex 1 della Convenzione.
5 Si vedano articoli 4-6 della UNFCCC.
6 Il testo del Protocollo di Kyoto, accompagnato da un’ampia
documentazione, si può trovare sul sito internet del Segretariato della UNFCCC
(www.unfccc.de).
7 Prima del Protocollo dei gas serra considerati erano solo i
tre tradizionali: anidride carbonica (CO2 ), metano (CH4), e protossido di azoto
(N2O).
8 Si noti che tuti i Paesi con economia in transizione hanno
l’obiettivo di riduzione del -8%, tranne Polonia ed Ungheria che hanno un
obiettivo di riduzione del -6%.
9 L’accordo di Burden Sharing sottoscritto dai Ministri
dell’Ambiente della UE nel giugno 1998 è largamente basato sulla bozza di
accordo del marzo 1997, rivista e corretta alla luce delle modifiche apportate
con il Protocollo di Kyoto allo scenario inizialmente previsto. Tali modifiche
riguardano principalmente l’aggiunta dei tre nuovi gas serra (HFC, PFC, SF6) e
l’inclusione delle emissioni provenienti dal settore forestale nella
determinazione della baseline a partire dalla quale verranno calcolate le
previste riduzioni delle emissioni.
10 Joint fulfilment of commitments.
11 Differenza tra quanto emesso dalle fonti e quanto assorbito
dai sink.
12 Sui meccanismi di flessibilità si veda F. Missfeldt,
Flexibility Mechanisms: Which Path to Take after Kyoto, in RECIEL, 7: 2, 1998,
p.128.
13 Il meccanismo di JI è erede diretto del meccanismo pilota
delle activities implemented jointly, lanciato già a partire dal 1994,
all’indomani della entrata in vigore della Convenzione Quadro sui Cambiamenti
Climatici. A tal proposito si veda il sito Internet del Segretariato della
UNFCCC (www.unfccc.de).
14 Emission Reduction Units.
15 Sul CDM si veda J. Werksman, The Clean Development Mechanism:
Unwrapping the Kyoto Surprise, in RECIEL, 7:2, 1998, p. 147.
16 Un Paese senza impegni vincolanti di contenimento o di
riduzione delle emissioni.
17 In ragione di questo duplice beneficio, il Piano di Azione
elaborato all’interno della COP 4 ha stabilito che tra i tre meccanismi priorità
dovrà essere assicurata al CDM.
18 Certified Emission Reductions.
19 Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto
20 Si veda l’articolo 17 del PK.
21 Il protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio
2005.
22 Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica.
23 Per il testo della delibera del 3 dicembre 1997 del CIPE si
veda la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale n. 18 del
23 gennaio 1998.
24 Per il testo della legge n. 120 del 1 giugno 2002 si veda la
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, n. 142 del 19 giugno 2002.
25 I Ministri individuati nella legge 120/2002 sono: il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze e degli altri Ministri interessati.
26 Si veda l’articolo 2 della legge 120/2002.
27 La scadenza individuata dalla legge 120/2002 è il 30 marzo.
28 Equivalente alla tabella n. 5 della Delibera CIPE 123/2002.
29 Stimato intorno ai 10,2 Mt. CO2 eq.
30 Si vedano le tabelle 6 e 7 della Delibera CIPE 123/2002.
31 Equivalente alla tabella n. 8 della Delibera CIPE 123/2002.
32 La c.d. rimodulazione delle accise sui carburanti.
33 Il c.d. EU-ETS.
34 La Direttiva adottata in seconda lettura il 2 luglio 2003 ed
accettata dal Consiglio nella seduta del 22 luglio è pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale dell’Unione Europea il 25 ottobre 2003.
35 La Direttiva adottata in seconda lettura il 2 luglio 2003 ed
accettata dal Consiglio nella seduta del 22 luglio è pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale dell’Unione Europea il 25 ottobre 2003.
36 Grandi impianti di produzione di energia elettrica e grandi
impianti di attività a forte consumo energetico.
37 Allegato 2: monossido di carbonio (CO2); metano (CH4);
protossido di azoto (N2O); idrofluorocarburi (HFCs).
38 Si vedano gli articoli 5 e 6 della Direttiva.
39 Si veda l’articolo 12 della Direttiva.
40 Si vedano gli articoli 9 e 11 della Direttiva.
41 Si veda l’articolo 11 bis della Direttiva 2004/101/CE.
42 In questo caso il fine è quello di soddisfare il requisito
in base al quale l’utilizzo dei meccanismi deve essere supplementare rispetto
all’azione nazionale.
43 Articolo 11 bis.
44 Articolo 21 bis.
45 Per un primo periodo di tre anni a partire dal 1 gennaio
2005 e per i successivi periodi quinquennali, il primo dei quali a decorrere dal
1 gennaio 2008.
46 Politiche intraprese prima della entrata in vigore degli
accordi.
47 La scadenza prevista nella direttiva ere fissata invece per
il 31 marzo 2004.
48 I valori presentati sono una stima basata su dati
disponibili al luglio 2004. Essi verranno rivisti a seguito della raccolta dati
a livello d’impianto da attivare attraverso specifici strumenti normativi di
recepimento della direttiva 2003/87/CE.
49 I valori verranno rivisti a seguito della raccolta dati a
livello di impianto da attivare attraverso specifici strumenti normativi di
recepimento dela direttiva 2003/87/CE.
50 Per i nuovi impianti ed i ripotenziamenti si terrà conto di
previsioni di produzione e coefficienti d’emissione basati sulle Best Available
Technologies mentre per i riavvii di attività esistente si terrà conto del
criterio di assegnazione previsto per gli impianti esistenti.
51 Esistenti e nuovi entranti.
52 Il periodo storico di riferimento scelto è quello 2002-2003.
53 Applicabile ad attività di riferimento con prodotti
relativamente omogenei.
54 Applicabile ad attività di riferimento con materie prime
relativamente omogenei.
55 Applicabile ad attività di riferimento a cui non possono
essere applicate le due precedenti opzioni.
56 I raggruppamenti dovranno in ogni caso essere proposti entro
il 1 gennaio 2005.
57 La legge Comunitaria per l’anno 2003 è stata approvata in
data 31 ottobre 2003.
58 Convertito in legge n. 316 del 30/12/2004.
59 Il totale delle quote da assegnare comprende quelle relative
alle emissioni da gas residuo, anche se le stesse ancora non sono state
attribuite né al produttore, né all’utilizzatore.
60 Ad esempio, un impianto di combustione per la generazione di
energia funzionale ad un processo di produzione e trasformazione di minerali
ferrosi, non rientra nella categoria “Attività energetiche”, ma nella attività
“Produzione e trasformazione di minerali ferrosi”.